Tricolore rito e ritrito

Un vessillo snobbato e per soli vip

Che la festa del Tricolore non sia mai stata una ricorrenza particolarmente sentita dai reggiani è un dato di fatto. Lo dice la storia della nostra città, lo dice la scarsa attenzione riservata alla data del 7 gennaio dalle amministrazioni pubbliche che nel corso degli anni si sono avvicendate, più attente all’evento istituzionale relegato alle autorità- come sottolinea giustamente il Direttore nel suo intervento- che non piuttosto al coinvolgimento della società civile, una sparuta presenza i margini della piazza. Che la festa storicamente sia stata più o meno ignorata, si evince dalle vecchie pagine di cronaca della stampa reggiana: molto spazio alla festa della Befana, pochi accenni alla festa del Tricolore. I sindaci più fedeli a una bandiera monocolore, non si sono mai spesi particolarmente, per risvegliare nella cittadinanza un sincero amor di patria. Un periodico reggiano, a proposito di tricolore, ricorda come emblematico l’episodio accaduto nell’immediato dopoguerra in un teatro di provincia. Una commedia termina con la scena di un anarchico che brucia la bandiera, il sindaco del paese, seduto in prima fila, si alza e comincia ad applaudire con entusiasmo, suscitando il gelo tra il pubblico in platea. Questo per dire in quale contesto culturale il tricolore ha avuto la sorte di celebrare i natali. In più di un’occasione ho proposto, anche tramite i quotidiani locali, di creare qualcosa di nuovo per coinvolgere adulti e bambini. La commemorazione nella piazza del Municipio ha mantenuto negli anni il fascino di una rappresentazione d’altri tempi. Se una rete nazionale proponesse la celebrazione del 7 gennaio 2013 in bianco e nero, qualcuno potrebbe pensare a un filmato di repertorio dell’Istituto Luce. Cosa ne sarà di questa festa in futuro non è facile saperlo: già quest’anno l’attenzione della stampa a livello nazionale non c’è stata. Forse non è stato colto l’unico riconoscimento di valore della giornata: la consegna del tricolore al prefetto Antonella De Miro per il suo impegno nella lotta alla mafia. Nel mese di novembre 2012 alla Camera è stato approvato il DL sulla festa dell’Unità d’Italia: si parla di introdurre l’insegnamento dell’inno di Mameli nelle scuole e di valorizzare la bandiera, la ricorrenza si inserisce a calendario nella data del 17 marzo. Ricordo ancora le immagini proposte nei servizi dei telegiornali. I parlamentari seduti in aula guardavano il tricolore sventolare sui loro tablet. Erano tutti così sorpresi, sembrava non l’avessero mai vista prima, la bandiera. A noi sarebbe bastata una circolare ministeriale, ma loro si sono impegnati nell’approvazione di un decreto, pazienza. Considerando la proliferazione di date, chi si preoccuperà di seguire in futuro il solito rituale reggiano di una festa che di festoso ha ben poco, se non si sarà capaci di portare idee nuove?  Al momento l’unico in grado di destare il patriottismo degli italiani sembra essere il carismatico Benigni. A lui la delega di far cogliere emotivamente il valore di quelli che dovrebbero essere capisaldi del nostro patrimonio storico e culturale. Più complicato creare la consapevolezza, di essere un paese o una città che si riconosce all’unanimità nei valori che il drappo verde, bianco e rosso rappresenta. Altro discorso riguarda l’incapacità di valorizzare il patrimonio storico locale. Pensiamo quale coreografia potrebbero offrire i chiostri di S. Pietro per un cerimoniale storico, pur mantenendo vive le iniziative in sala Tricolore e a teatro. A Modena, nelle ricorrenze di eventi patriottici, l’Accademia è gremita  e non solo di autorità. Nella nostra città la festa è blindata, avere un pass di accesso al teatro è impossibile se non si è accreditati, in Sala Tricolore partecipa chi ha l’invito, rimane solo la piazza per i cittadini, o meglio, lo spazio dietro le transenne. La bandiera è un simbolo importante per un paese orgoglioso della propria storia  e che si riconosce nelle istituzioni che lo rappresentano anche fuori dai confini nazionali. Per tanti motivi quindi, nel caos attuale, limitare la festa alle autorità  e i politici di turno (sperando che non vi siano indagati), è il modo più semplice per passare da una celebrazione di rito a un rito di commiato.

Daniela Anna Simonazzi

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