“Dall’opera rock al requiem” viene da pensare a chi ha assistito al rivoluzionario musical Jesus Christ Superstar in scena al Valli la vigilia della festa del Tricolore, e si troverà oggi nello stesso teatro per le celebrazioni del 7 gennaio. Entusiasmo e modernità contro il trionfo del presenzialismo e di un forzato patriottismo. Molte volte ho partecipato alle celebrazioni del 7 gennaio e ho scritto a proposito del tricolore. Doverosa la scelta dell’amministrazione di togliere le umilianti transenne come pure lo sforzo di aver messo a disposizione cento posti per i cittadini, il che ammette l’impostazione di una festa inspiegabilmente blindata nel corso degli anni. Si avverte la mancanza di sinergia tra i diversi ambiti culturali, ma soprattutto mancano le idee per dare slancio all’evento. Il copione si ripete ogni anno fedelmente, spicca su tutto non tanto la celebrazione del tricolore, quanto piuttosto l’autocelebrazione delle istituzioni, una moltitudine di amministratori, sindaci, presidenti, vice, e rappresentanti di gruppi o associazioni varie compiaciuti e compiacenti, molti in cerca di visibilità: una cuccagna per i fotografi. Al contrario, nella platea del teatro, gruppi di studenti con lo sguardo divertito e visibilmente annoiato, intenti a inviare messaggi con i loro telefonini più che ad ascoltare. Se c’è una cosa che ho sempre percepito è l’artificiosità dei discorsi e la mancanza di spontaneità alla base di una narrazione del simbolo nazionale che si ripete senza passione.
La disaffezione per il concetto di patriottismo è una realtà; in terra reggiana, poi, l’ardore per la bandiera non c’è mai stato. Se si sfoglia la stampa locale più remota alla pagina del 7 gennaio, si scopre che le cronache cittadine riservavano ampio risalto alla festa della Befana più che al Tricolore. Non è un mistero poi che la città “Medaglia d’oro della Resistenza” non abbia mai valorizzato la componente resistenziale fatta di giovani che portavano il tricolore al collo, impopolari rispetto a chi sfoggiava il fazzoletto scarlatto. Il concetto di spaziare e allargare lo sguardo e il confrontarsi sulle idee da veri democratici non ha mai caratterizzato la storia reggiana. È bene ricordare i protagonisti dei Fogli Tricolore: prima patrioti poi partigiani, osteggiati e alcuni anche eliminati fisicamente durante e dopo la guerra. Non hanno mai avuto spazio adeguato nella memoria collettiva.
Loro, da autentici difensori della patria, alzarono la voce tra i primi per richiamare l’attenzione su quello che divenne l’esodo istriano. Ancora oggi si cerca di chiudere gli occhi su ciò che accadde in quelle terre, lo dimostrano i viaggi (reggiani) di una memoria che continua a dimenticare una parte della storia. Anche oggi è occasione per riflettere sulla memoria. La memoria per legge non si educa, la memoria è un insieme di fattori complessi non è semplificabile e traducibile per decreto.Nella memoria dei giovani ora spettatori le sequenze di oggi 7 gennaio avranno un peso, a loro spetterà in futuro dare significato. I cambiamenti in atto nel mondo esigono risposte, in una realtà sempre più multiculturale dove i problemi e le disuguaglianze già marcate tenderanno ad aumentare visto l’immobilismo istituzionale, viene da chiedersi quale ruolo possa avere il simbolo della giustizia, uguaglianza e fratellanza.
Il tricolore riassume i naturali diritti dell’uomo e rappresenta un’occasione per educare reciprocamente alla responsabilità.Questo sta scritto nella bandiera italiana che rappresentò un traguardo per chi aveva l’aspirazione di dare dignità e democrazia al paese. Per ora se vogliamo vedere una festa di popolo e non solo di autorità dove il tricolore è trattato in maniera meno soporifera rispetto al contesto reggiano, basta fare un giro dall’altra parte del pianeta a New York al Columbus Day , lì si respira entusiasmo e patriottismo, è lì la festa dell’orgoglio italiano.
Daniela Anna Simonazzi