Trebisonda, il fascino millenario dell’ultimo impero greco sul Mar Nero

Il saggio di Tommaso Braccini docente di Filologia classica

Un grido di esultanza si levò dai mercenari greci protagonisti dell’ Anabasi di Senofonte quando, da un’altura, scorsero il Mar Nero. Avevano patito il freddo, la fame e si erano aperti la strada lottando contro tribù ostili ma adesso erano arrivati alle porte dell’Occidente. E ancora più importante era aver trovato in quell’angolo remoto del mondo, al confine tra la realtà e il mito, una città greca: Trapezunte, anello di congiunzione fra Oriente e Occidente. 

Il recente saggio di Tommaso Braccini, docente di Filologia classica all’Università di Siena che s’intitola, Trebisonda, L’impero incantato tra storia e leggenda (Salerno editrice 2024), si apre, appunto con questo episodio da cui inizia il mito di Trebisonda che molti viaggiatori avrebbero descritto come il luogo in cui iniziava il favoloso oriente  “tra sfarzo leggendario, intrighi, prodigi, magie.Da qui tra foreste,  montagne innevate e valli nebbiose si andava verso la Persia e l’india  in strade  “percorse da carovane, predoni, pellegrini, pastori”.

Uno Stato  “che non fu mai una superpotenza in senso politico lo divenne nell’immaginario collettivo”  e lo rimase per settecento anni.“Fu la prima Terra di Mezzo -osserva il Prof. Braccini – un impero lontano, romantico, esotico, scintillante, percorso da maghi e cavalieri dove tutto era possibile”.

Non a caso, come si legge in questo libro, il grande bizantinista Steven Runciman sottolineò  che “di tutti i titoli medievali nessuno è più magico di quello di imperatore di Trebisonda”. Riassunse, così, il fascino millenario dell’ultimo Impero greco sulle rive del Mar Nero, nato nel 1204, caduto nel 1461 e in due secoli e mezzo Trebisonda divenne crocevia internazionale, favolosamente ricco, al centro di commerci, ambascerie, intrighi, magie.

E Tommaso Braccini rileva che Marco Polo, Cervantes, Cagliostro, Foscolo, Offenbach, d’Annunzio: tutti, nella realtà o nella fantasia, “sono passati dall’antica capitale dei Gran Comneni, la più nobile delle dinastie bizantine, esiliata per sempre da Costantinopoli”.

Per i lettori che vogliono sognare i misteri e le glorie di Trebisonda (alle porte della leggendaria Colchide ) e i viaggiatori che intendono esplorare l’attuale Trabzon e i monasteri perduti del Ponto, tra nebbie impenetrabili e foreste fatate, nelle pagine di questo libro rivivono storia e leggenda.  Ne parliamo con il Prof. Braccini.

Perché per secoli Trebisonda colpì l’immaginario collettivo divenendo icona  del regno favoloso?

 Una delle ragioni del fascino di Trebisonda fu una straordinaria ambasceria che nel Quattrocento girò l’Europa chiedendo aiuto contro i Turchi ottomani. Il papa Pio II, Veneziani, Fiorentini e vari sovrani accolsero gli inviati che giungevano dall’Oriente, tra cui un discendente di Dante, Michele Alighieri, che si era posto al servizio dell’imperatore di Trebisonda e magnificò ovunque la grandezza e il potere del suo signore, colpendo indelebilmente l’immaginazione di signori e popolani.

Come nacque e perché si autodefinì impero?

Nel 1204, mentre Costantinopoli veniva conquistata dai partecipanti alla IV Crociata, la città di Trebisonda fu occupata da due giovani principi bizantini, Alessio e Davide. Appartenevano alla nobilissima famiglia dei Comneni, brutalmente detronizzata pochi decenni prima, e colsero l’occasione per rivendicare il proprio rango fondando un impero che rivendicava l’eredità di Bisanzio. 

Quale la ragione del suo fascino in opere letterarie e spettacoli ?

Trebisonda finì per assumere i tratti di una sorta di “Bisanzio al quadrato”, una capitale orientale corrotta e favolosamente ricca, un crocevia di uomini e merci sede di traffici, congiure, magie. Non stupisce che d’Annunzio, e come lui tanti altri, ne siano rimasti affascinati.

Ma davvero le principesse di Trebisonda erano bellissime?

 Purtroppo non abbiamo ritratti certi su cui poterci basare, ma all’epoca tutti, occidentali e orientali, dicevano di sì. Ci sono viaggiatori che rimasero letteralmente a bocca aperta, paralizzati, dopo aver visto una delle principesse di Trebisonda, per la cui mano i sovrani dell’epoca erano disposti a fare le concessioni più estreme.

Ma cosa legava Trebisonda a   Napoleone?

Nella realtà, nulla. Ma i suoi cortigiani, per nobilitarne le origini, s’immaginarono che la famiglia Bonaparte discendesse da un ramo della famiglia comnena che dapprima era fuggito in Grecia, poi in Corsica e da lì in Toscana. Un percorso improbabile, ma che testimonia come l’ultimo impero greco continuasse a essere una superpotenza dell’immaginario anche nell’Ottocento.

Questo mito si lega anche a un modo di dire che era di uso corrente fino a qualche decina di anni fa. “Perdere la Trebisonda” significava essere disorientati, confusi come riporta il vocabolario  Treccan (https://www.treccani.it/vocabolario/trebisonda/). Questo perché Trebisonda era una sorta di faro per i naviganti, un punto di riferimento o.  Tra l’altro,con analoga locuzione oggi  anch’essa in disuso si diceva anche “perdere la tramontana”.  

Umberto Eco aggiunge un’altra possibile accezione…poiché per chi giungeva da occidente Trebisonda era un porto molto importante per andare in Oriente. Per i mercanti,la rotta di Trebisonda significava perdere il denaro investito nel viaggio.

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