Firenze – Vado a parlare con Ilaria Buccioni direttamente in bottega, a proposito del suo libro: “Trattoria Sabatino. La storia di una famiglia e i sapori della cucina povera in San Frediano, il quartiere più popolare di Firenze” che è stato pubblicizzato tramite presentazioni in varie librerie fiorentine e altre iniziative.
Ilaria, nipote di Sabatino che dette il nome alla trattoria, ha avuto la brillante idea di descrivere la storia della sua famiglia. Un’occasione per parlare del dopoguerra attraverso gli occhi di chi, in quegli anni, abitava nello storico quartiere di San Frediano e dei suoi cari che, qui sfollati da San Godenzo, dovettero inventarsi un’attività che gli procurasse di che vivere. Nel suo libro narra la saga della sua famiglia contestualizzata nel quartiere, tra casa e bottega, a stretto contatto con gli abitanti del Borgo, fossero essi nobili, uomini di cultura o pezzi da galera. In esso esprime tutto il suo amore per il Quartiere, rinforzato da legami consolidatisi nel tempo.
Acquisto una copia del libro intenzionata a leggerlo con calma a casa ma, nel frattempo, ne parliamo insieme, io tra un boccone e l’altro di roast beef con patate e la pera cotta in forno con vino e zucchero, Ilaria invece tra un conto alla cassa e una risposta al telefono. A tavola con noi c’è Martin che, da ragazzi, mi aveva fatto scoprire la Trattoria nella prima sede di Borgo San Frediano. Quando ci sedevamo a tavola per prima cosa, insieme al pane, ci portavano l’acqua fresca del pozzo, tanto fresca da fare appannare la caraffa di vetro. Qui d’estate mangiavamo il “riso primavera” che tuttora si trova nel menù estivo.
Puoi dirmi qualcosa sul tuo libro, come ti è venuta l’idea di scriverlo?
Qui narro la storia della mia vita e della mia famiglia, vista attraverso le quattro mura della nostra storica trattoria, nel quartiere ancora più storico di San Frediano, forse il quartiere più popolare della città. Il libro ripercorre sessanta anni di attività, sessanta anni di storia, trascorsi tra gioie e dolori, addii, nuovi arrivi, che hanno accompagnato la nostra vita.
Parlo di mio padre, fino ad arrivare all’apertura della trattoria nel 1956, passando attraverso vicende e avvenimenti importanti per Firenze, dall’alluvione del ‘66 alla strage dei Georgofili, iniziando dall’immediato dopoguerra, poiché la trattoria fu aperta proprio in quegli anni. Narro del nonno Sabatino, dall’apertura della trattoria, fino allo sfratto, per arrivare, negli anni più recenti, alla nuova apertura sempre nel quartiere, ma subito fuori dalla porta di San Frediano.
Il libro è diviso in tre parti e ogni parte si distingue dall’altra per lo stile.
La prima parte inizia con un capitolo a se stante, si tratta di una mia conversazione con un vecchio avventore, che mangia da noi un giorno sì e un giorno no.Questo incipit immette il lettore direttamente nell’ambiente della trattoria, proprio nel suo clima e nel colore del quartiere, poiché lui raccontava fatti, storie ed episodi molto particolari.
Ma la tua famiglia abitava già a San Frediano?
No, erano sfollati di guerra, venivano da San Godenzo, che si trova sulla Linea Gotica, e poiché mio padre nacque il 15 luglio del ‘44, la famiglia dovette sfollare a pochi giorni dalla sua nascita. Le finanze erano veramente modeste, ma nonostante tutto la famiglia riusciva a tirare avanti. Il sogno di mio nonno era di aprire una trattoria, ma l’incipit, l’impulso lo dette mio padre allora undicenne che, per quanto bambino, ma decisamente maturo e consapevole, guardando negli occhi suo padre gli disse:
“Oh babbo, lo sai icché si fa? Si piglia una trattoria!”.
E così fecero. Fino ad allora avevano vissuto di stenti, dormendo tutti in una stanza con l’uso della cucina, ma solo quando non c’erano i padroni di casa. Per mangiare si appoggiavano su una panca, perché non avevano neppure un tavolo.
Sull’onda dell’entusiasmo e della determinazione che il babbo era riuscito a comunicare e circostanze favorevoli, dopo poco la sede fu trovata e la trattoria fu aperta. Cominciò così un nuovo capitolo per la nostra famiglia.
Nel libro riporto le storie di quartiere raccontate dalla nostra prima cuoca:
si trattava di un quartiere davvero molto particolare dove convivevano gli opposti e capitava che si sedessero allo stesso tavolo ladri e rappresentanti della nobiltà fiorentina. Le numerose persone con cui ho avuto modo di parlare mi hanno riferito in merito alla San Frediano di allora, dove si avvertiva il forte legame che collegava l’una all’altra le persone, come in una grande famiglia, una grande famiglia con un grandissimo cuore. C’era tanta solidarietà e amicizia che l’alluvione del ‘66 ha contribuito a rafforzare.
Ma chi sono le persone con cui hai potuto parlare?
Tra gli altri, nel libro parlano dipendenti, fornitori, amici, avventori abituali. Tra gli amici, in particolare, un amico di Babbo che ricorda episodi della sua vita dai dodici anni in poi: siamo passati da un sentimento all’altro, dal riso al pianto quando, dopo aver ascoltato aneddoti e ricordi che facevano ridere a crepapelle, siamo giunti alla morte del babbo.
Altre persone citate che hanno contribuito con i loro ricordi sono Gianfranco Sanguinetti, il tedesco Hans, artista di strada e modello per Charles Cecil e Annigoni, Sabine Pretsch, per anni direttrice dell’Antico Setificio Fiorentino, Raffaello Romanelli, scultore, insegnante e gallerista, Costantino e Reema Ruspoli, Giampiero Maracchi, la professoressa Francesca Fraccaro, Tom Richards, Dorotea e Augusto Vismara e altri ancora.
“Arrivo signora”, Ilaria si interrompe e corre al bancone della cassa.
Cosa si narra nella seconda parte?
Nel capitolo seguente ringrazio mamma, a dismisura, per il suo lavoro e tutto il suo impegno per portare avanti questa piccola bottega. Lei che è arrivata in San Frediano proprio nel ‘66, anno dell’alluvione. Con l’alluvione tutto andò distrutto, i danni furono indiscutibilmente ingenti per tutti, ma poi la vita riprese a scorrere. La storia della trattoria prosegue fino alla morte del nonno che coincide con la mia nascita. Così si conclude la prima parte del libro. E anche in questo capitolo si passa attraverso diverse fasi e vicissitudini.
Questa seconda parte è autobiografica: descrivo la mia vita tra la gente di bottega e di quartiere. Narro come io e mia sorella si sia cresciute a tavola con senzatetto e altre persone delle quali, solo in seguito, abbiamo scoperto l’identità. Nel libro racconto anche di questo e riporto episodi particolari e belli legati ai numerosi personaggi citati. In definitiva la bottega per me è stata una scuola di vita che mi ha dato tanto.
Descrivo la mia casa, una tipica casa di San Frediano e nella rappresentazione fatta al Teatro del Cestello, dove attori della Compagnia hanno letto brani del libro, sembrava quasi di esserci in quella casa, tanto la scenografia era realistica.
Da ragazzina avevo molte attitudini e abilità e tutti si aspettavano molto da me, non certo che lavorassi in bottega. A differenza di me, mia sorella cominciò a lavorare presto, dando una mano al babbo in cucina e questo lavoro le piaceva molto. Ma l’anno della maturità la mamma si ammalò e dovette assentarsi dal lavoro a lungo, allora capii che dovevo anch’io dare una mano in trattoria. Dopo non fu più possibile smettere, la mia famiglia contava molto su di me e io, appassionata ormai a questa attività, avevo capito che questo era il mio vero lavoro.
“Faccio un conto e ritorno subito” esclama Ilaria allontanandosi verso la cassa.
Come dicevo, racconto di come io e mia sorella vivevamo in bottega giocando tra tavoli e ballini di ceci e fagioli, aspettando l’arrivo di qualche bambino che passasse a fare merenda da noi o a cena con i genitori, narro anche degli anni successivi, fino all’incontro con Massimo che diventerà in seguito mio marito.
Sradicato dalle sue origini, Massimo si ritrova coinvolto nella mischia di San Frediano. Lui, schivo di natura, quando entrò a far parte della banda all’inizio si sentì un po’ spiazzato, ma a breve si adattò e fu presto in grado di aiutare il babbo. A Massimo dedico sei ricette illustrate.
Poi la storia continua, fino alla morte della nonna e allo sfratto da casa e dalla trattoria.
Nel borgo tutti parlavano di questo evento, tutti si chiedevano come avremmo potuto cavarcela. Fortunatamente un cliente ci fece aprire gli occhi su di un fondo che era subito fuori dalla porta di San Frediano: era il giusto compromesso per il nostro futuro.
Il primo settembre del ‘99 abbiamo riaperto in questa nuova sede, con un’inaugurazione che fu meravigliosa. La mattina dell’inaugurazione, quando arrivarono le telefonate del sindaco e di un giornalista televisivo, mio padre disse “si prepara per seicento” ma io controbattei “sarà meglio preparare per mille, perché prevedo che le comunicazioni giornalistiche ci porteranno più clienti”. Ma anche così sottovalutammo la situazione e tra le cinque del pomeriggio e le sette di sera il cibo era già tutto finito. Dovemmo far ricorso alle provviste per il giorno successivo, che sarebbe stato il primo giorno di apertura, e a tutti i prodotti del laboratorio della pasticceria di fiducia.
“Il telefono squilla, devo andare, poi c’è da fare anche il conto a quei clienti!”.
Anche il commissario Bordelli frequentava la Trattoria Sabatino, scrive Marco Vichi a pagina 245. Ho letto in fretta questo breve capitolo mentre Ilaria è indaffarata a rispondere al telefono e a fare il conto al cliente.
“Mi è piaciuta molto questa conclusione del libro scritta da Bordelli, cara Ilaria” le dico quando torna al tavolo”,
“Sì, anche a me. Ringrazio Marco Vichi per il suo contributo” risponde.
La prossima presentazione del libro sarà il 27 novembre, ore 17, Libreria IBS, via Cerretani 16/r, con la partecipazione di Marco Vichi.
Il libro citato si compra direttamente in Trattoria
Trattoria Sabatino. La storia di una famiglia e i sapori della cucina povera in San Frediano, il quartiere più popolare di Firenze / Ilaria Buccioni, Firenze, Maschietto Editore, 2016
Contatti:
- Trattoria Sabatino – via Pisana, 2/r. – (Porta S. Frediano) 50143 FIRENZE – TEL. 055 22 59 55
- Email: ilariabuccioni@trattoriasabatino.it
- Sito web: http://www.trattoriasabatino.it/