Transizione ecologica in attesa della direttiva Ue sulla qualità dell’aria

Il testo prevede un ambiente urbano privo di sostanze tossiche entro il 2050

Dopo l’aprile 2024, il più caldo a livello globale che si sia mai visto,tale da superare perfino l’allarme sul caldo già lanciato nel 2016 e accompagnato da un aumento mai prima registrato delle temperature del mare, è seguito un maggio di dati e considerazioni amare sul problema sempre più sbandierato, ma sempre meno concretamente perseguito, della transizione ecologica.

Mostrando una ancora grande lontananza dall’obiettivo dell’Europa che si preoccupa di non riuscire a questi ritmi  a realizzare il l’obiettivo del Green Deal  di totale decarbonizzazione entro il 2050. Tanto da decidere  di accelerare e rinforzare il processo di neutralità climatica con la riduzione, già  dal 2030, ovvero da domani, del 55% di gas serra rispetto ai livelli del 1990, e del 90% nel 2040. Il 20 febbraio scorso Parlamento e  Consiglio della UE hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla proposta per una nuova direttiva sulla qualità dell’aria in modo da raggiungere un ambiente privo di sostanze tossiche entro il 2050. Il testo su cui è stato raggiunto l’accordo dovrà essere approvato formalmente dalle due istituzioni, e quindi pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. La grande novità è che la normativa potrà entrare in vigore già a partire dalla fine di quest’anno, il che significa che entro due anni gli Stati dovranno recepire le nuove norme nel diritto nazionale ed entro il 2030 raggiungere gli obiettivi della nuova normativa.

L’obiettivo di decarbonizzazione, e dunque della riduzione drastica dei gas serra, primo tra tutti la CO2,  interessa direttamente le aree urbane che ospitano il 75% della popolazione dell’Unione Europea ed è strettamente connesso, dipendendo ambedue i tipi di emissioni dai motori a combustione, alla lotta contro gli inquinanti atmosferici (polveri, biossido di azoto, ozono, le principali) che ogni anno determinano decine di migliaia di morti premature. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente  (EEA), nel 2021 in Europa:  253.000 decessi prematuri attribuibili all’esposizione cronica a particolato fine, 52.000 alla esposizione cronica al biossido di azoto,22.000 alla esposizione acuta all’ozono. I due killer si completano:  i gas serra modificano il clima a lungo periodo e forse per sempre, con tutto il pacchetto di catastrofi e di eventi estremi che ne deriva, e proiettano i loro effetti anche sulle generazioni future. Gli inquinanti atmosferici, il cosiddetto smog, agisce sulla salute nell’immediato.   

Come abbiamo detto, durante tutto Maggio report, dati e documenti allarmanti si sono rincorsi, peraltro li ha pubblicati tutti in fila esaustivamente ancge il blog Ambientenonsolo a cura di Marco Talluri. Gli ultimi allarmanti dati climatici li ha diffusi Copernicus, ovvero il Copernicus Climate Change Service, il servizio meteo della UE che produce un bollettino meteo mensile.  Segnalando anche che l’aprile record del 2024 arriva dopo ben 11 mesi consecutivi che sono stati i più caldi mai registrati e che si è superata già in questo mese  la soglia degli 1,5 gradi di crescita della temperatura globale: la prima soglia critica di sicurezza dell’Accordo di Parigi  che gli scienziati avevano preannunciato entro il 2025. Evidenziando così in modo plateale l’inasprimento degli effetti della crisi climatica che generano un’alternanza di precipitazioni estreme (concentrate nel tempo e nello spazio) e ondate di calore, come osserva Legambiente.

L’ultimo rapporto Ispra (l’istituto nazionale per la protezione e la ricerca ambientale), dal titolo “Le emissioni di gas serra in Italia. Obiettivi di riduzione al 2030”, segnala un trend di crescita delle emissioni rallentato rispetto al 1990 , grazie all’aumento  della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico) e al passaggio all’uso di combustibili a minor contenuto di carbonio. Ma avverte che, sebbene meno impetuosamente, dette emissioni continuano a crescere, che siamo comunque lontano dall’obiettivo europeo e che la principale responsabilità in Italia spetta ai trasporti, essendo, il nostro,  il paese europeo dove gli spostamenti più si concentrano nell’auto privata.  “Le emissioni di gas serra in Italia negli ultimi due anni continuano a crescere”, avverte Ispra, e  provengono per oltre il 90% dal trasporto stradale, che rispetto all’anno precedente segna un più 5% e conferma un trend che non conosce pause e supera il 7% dal 1990: in controtendenza con tutti gli altri settori economici nazionali che al contrario registrano marcate riduzioni, ad eccezione dei rifiuti che rappresentano circa il 5% del totale nazionale di emissioni. Dunque, trasporti e rifiuti.

Non basta. Ecco che, a dare l’ultimo e sentito allarme, arriva il 28 maggio scorso anche il rapporto MobilitAria  2024 di Kyoto Club e del Cnr-IIA, l’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche che analizza i dati della mobilità e della qualità dell’aria in un 2023 in cui, dopo il covid, la mobilità urbana, si dice,  è ripresa in pieno e l’ auto è rimasta protagonista degli spostamenti urbani in un’Italia   che ha il tasso di motorizzazione più elevato d’Europa e finora ha continuato ad aumentare. Più motorizzati di tutti, non è poco.

MobilitAria monitora le 14 città metropolitane italiane ( Roma, Torino, Milano, Genova, Bari, Bologna, Cagliari, Napoli, Messina, Palermo, Firenze, Catania,  Reggio Calabria, Venezia ), più  altre quattro città (Bergamo, Padova, Parma, Prato). Bene: di 18 città monitorata non ne passerebbe neanche una all’esame dello step previsto dal Green Deal europeo per il 2030: non solo dal punto di vista di smog e gas serra ma anche per la pigrizia di mettere in campo tutti gli interventi che potrebbero ridurli e che l’Europa da tempo va suggerendo: mobilità sostenibile calcolata come trasporto pubblico non inquinante (con l’obiettivo che gli spostamenti con mezzi privati nelle città e aree metropolitane non superino il 35% del totale), mobilità ciclabile, mobilità condivisa, elettrificazione del parco veicolare privato, impatto sulla salute dell’inquinamento atmosferico, sicurezza stradale. In particolare, si chiede di potenziare le zone 30, dove i motori non possano superare il limite dei 30 chilometri l’ora facilitando così pedoni, bici, attività dei quartieri, passeggiate urbane, bambini.

Una misura che Bologna è la prima grande città italiana a sperimentare su tutte le strade urbane (eccetto gli assi di scorrimento) e che è un modello sempre più comune tra le città europee grandi e medie. Come un altro degli strumenti più diffusi per abbattere le emissioni e migliorare la qualità dell’aria nelle aree urbane europee sono le low-emission zones (LEZ), ovvero le zone a basse emissioni che sbarrano la strada ai motori più inquinanti e di cui in Italia è esempio l’Area B di Milano.  

 Il tempo  è poco.  Mentre il rischio è alto. La preoccupazione è tale che interviene perfino il Vaticano lanciando un Summit sul clima, intitolato  “From climate crisis to climate resilience”, con la parola d’ordine che “servono misure immediate”. Lo fa a fine maggio,  mediante un incontro internazionale con ricercatori, leader religiosi, amministratori, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Pontificia Accademia delle Scienze sociali. Non c’è più tempo – ragiona in sostanza il Vaticano – mentre il riscaldamento globale corre verso il paventato traguardo dell’1,5 gradi in più di temperatura, gli effetti sono già evidenti e affliggono gravemente porzioni sempre più ampie della popolazione mondiale. Bisogna agire e occorre farlo a livello locale per avere effetti globali.

Lo scopo finale sarà la realizzazione di un “Protocollo di resilienza climatica planetaria, con tutti i partecipanti come cofirmatari e modellato sulla falsariga di quello Montreal, che fornirà le linee guida per rendere tutti resilienti al clima. Il protocollo sarà sottoposto alla United Nations Framework Convention on Climatre Changes per portarlo a  tutte le nazioni. Quando il riscaldamento supererà la soglia di 1,5° entro il 2030, il protocollo potrà essere modificato per includere norme rigorose al fine di  piegare drasticamente la curva delle emissioni e aumentare la spesa per le misure di adattamento».  

 Come vediamo, ci troviamo in un contesto di transizione preoccupante in cui appare evidente la necessità di incrementare gli interventi per ridurre inquinamento, congestione, incidenti e morti sulle strade come le azioni per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Due raggi di obiettivi che come abbiamo visto coincidono, ma su cui siamo indietro . Non solo, ma che le associazioni ambientaliste protestano non siano solo obiettivi difficili e ancora lontano da raggiungere, ma per di più direttamente contrastati, in Italia, dall’attuale azione di un governo di cui accusano il nuovo Codice della strada di fare passi indietro invece che in avanti, in virtù del muscolare intento di favorire il rombo dei motori e strizzare l’occhio ai fanatici della corsa in auto del ministro dei trasporti Salvini. Depotenziando, denunciano, la lotta contro la velocità registrata come la principale colpevole della strage su strada ( 3.159  morti solo  nel 2022), indebolendo  l’azione delle amministrazioni locali, limitando la possibilità di applicare le principali misure considerate a livello europeo, e adottate dalla gran parte delle città non italiane, dalle Ztl alle aree pedonali, la sosta regolamentata, i controlli elettronici, la mobilità ciclistica.

Per non dire, sottolineano istituti e associazioni ambientaliste, come pure varie associazioni della società civile, del  decreto autovelox uscito il 28 maggio, accusato non solo di attutire e rendere più farraginoso l’uso degli autovelox ma soprattutto di schierarsi direttamente contro le zone 30, vietando il controllo da parte dei medesimi di qualsiasi area sotto i 50 chilometri l’ora di velocità.

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