Tram o non tram? Riparte il dibattito, ma la cura del ferro salva l’ambiente

L’esperto: porta più passeggeri, è più economico, più accessibile e confortevole
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Tram o non tram? Il dilemma si propone ogni volta che in una città viene costruita un tramvia. La quale  trova quasi sempre adoratori e odiatori tra loro divisi, salvo poi essere tutti contenti quando è finita: di muoversi con facilità, di vedere la propria casa nei dintorni salita di valore anche del 20%, di respirare aria più pulita. Gli episodi contro si verificano in Europa assai più raramente che in Italia, paese, quest’ultimo,  ancora dominato dall’auto  con il record di 666 macchine ogni mille abitanti, il 30% di più che in Francia, Germania, Spagna.  E anche paese dove assai meno che altrove si spiega bene ai cittadini, prima ancora di aprire i cantieri,  cosa, come e a che scopo si sta andando a fare. 

Secondo i dati del 31 dicembre 2023, oggi  il tram viaggia in Italia per 427,7 chilometri in 13 città e su 47 linee. In testa, Milano con 180,3 chilometri, Torino con 88,5, Roma con 36, Palermo con 23,3, Venezia con 20 chilometri e Firenze con 16,8, in crescita a seconda di come andranno le elezioni amministrative del 9 giugno.Attualmente sono in costruzione le prime linee di Brescia e Bologna. In quest’ultima il tram uno passa dal centro e deve funzionare entro il 2026, essendo finanziato dal Pnrr che destina allo sviluppo del trasporto pubblico rapido di massa  3,6 miliardi, di cui 85 per le tramvie, capaci di diminuire le auto in circolazione almeno del 10% , con relativo taglio di gas serra, provocati al 23% dal traffico veicolare, e degli altri inquinanti da traffico. 

Nonostante l’accelerazione degli ultimi anni, il dibattito adesso rischia di infiammarsi di nuovo, partendo da Firenze, la città che dagli anni ‘90 in poi è stata la madre di tutte le battaglie contro un mezzo di trasporto pubblico comodo, efficiente, non inquinante, salvo calmarsi negli ultimi tempi. Adesso ci sono tre linee già realizzate e altre progettate per cui sono partiti o  stanno partendo i lavori, tutte già finanziate, alcune dal Pnrr e dunque obbligate a finire entro il 2026, un ritardo sarebbe esiziale. Dirette verso aree cittadine residenziali poco collegate con il centro, come il Campo di Marte dove oltretutto c’è  lo stadio, e verso alcuni dei centri confinanti che generano consistenti flussi di pendolarismo, come Bagno a Ripoli, le Piagge,  Campi e Sesto. Ma ecco che la destra, approfittando delle elezioni in cui per la prima volta della sua storia cittadina ha potuto dotarsi di  un candidato spendibile come l’ex direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, rilancia la sua vecchia crociata anti tram per bocca appunto di Schmidt che gareggia con  una sua lista, appoggiata da FdI, Lega e FI. Nonostante le obiezioni non trovino nessuna giustificazione tecnica da parte degli esperti.

 Il tram aveva avuto gran successo in Europa nella prima metà del ‘900, annullato, verso la metà del secolo,  dal montante entusiasmo per la modernità, intesa come rombo di motori privati. E via tutti a estirpare rotaie da strade presto solcate, al posto dei tram, da auto private sempre più numerose, intervallate da mezzi pubblici  purché, anch’essi, a motore come gli autobus. Solo più tardi arrivarono i filobus, diversi dai bus solo perché a trazione elettrica e dunque non inquinanti. I quali vennero poi sostituiti, verso la fine del secolo, dalle risorte tramvie di cui, nelle città assediate dal traffico e dallo smog, si era riscoperto il valore di trasportare con regolarità,  comodamente e senza inquinare le masse di persone che ormai si stavano muovendo sempre di più.Tanto che oggi sono 80 le città che hanno ricostruito le tramvie che avevano distrutto, delle circa 280 che in Europa hanno un sistema tramviario.  Per di più negli ultimi tempi di disastro ambientale si sta accelerando l’uso del tram per ridurre le emissioni inquinanti dei trasporti e provare a raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea contro per il climate change e raggiungere entro il 2050 la neutralità carbonica,  ovvero un saldo di emissioni di gas serra pari a zero.

In questo cura del ferro l’Italia è ancora indietro, come spiega anche l’ingegnere trasportista Giovanni Mantovani, uno dei massimi esperti di tram in Italia,  che adesso si sta occupando della tramvia di Bologna , è stato presidente dell’Associazione italiana per l’ingegneria del traffico e dei trasporti, ex direttore di dell’attuazione del tpl al Comune di Roma, città in cui ha realizzato  la tramvia in centro, consulente del Comune di Firenze per la revisione dell’intero progetto di tramvia ancora oggi in working process, e responsabile del procedimento di costruzione della prima linea tranviaria da Scandicci a Firenze, dove i tamburi avevano rullato contro dagli anni ‘90 e su  riuscì a vararne i cantieri l’inizio solo nel 2005. Dopo varie tra eresie,  fu inaugurata il 14 febbraio 2010 solo in virtù dell’attività di Mantovani, chiamato dal lungimirante vice sindaco, Giuseppe Matulli. 

È di Mantovani la definizione della tramvia italiana come “Un tram che si chiama desiderio”. Pendolaria 2023 di Legambiente dà la maglia nera quanto a mobilità sostenibile a un’Italia giudicata ancora inebriata dal vecchio boom della macchina e pigra in materia di trasporti pubblici e sostenibili. Il paese, peraltro, dove la tramvia è entrata in politica, definita di sinistra di fronte alla metropolitana che sarebbe di destra. Una definizione che si dice nata a Milano anni fa, probabilmente perché la metro, lasciando il pieno possesso della strada alle macchine, la si considerò dalla parte dei benestanti mentre la tramvia, essendo democraticamente alla portata di tutti, venne vista come mezzo proletario.

Adesso Eike Schmidt ha ritirato fuori tutto il corredo dell’antica opposizione al tram, guidata ai tempi dallo storico pasdaran fiorentino , Mario Razzanelli, adesso capogruppo in Comune di Forza Italia non più ascoltato sull’argomento dopo essere riuscito ai suoi tempi a far cancellare  l’attraversamento del centro da parte della tramvia passando dall’unica via possibile del Duomo, pur  in quel tratto senza pali e a batteria nonostante le tecnologie fossero assi più indietro dellecattuali. Ancora Mantovani obietta che “la tramvia è una felice e importante occasione per interventi di miglioramento ambientale e di riqualificazione urbana”. Ricordando come spesso in Europa tramvia e monumenti vivano felicemente insieme. A cominciare da Siviglia, dove il tram passa accanto alla basilica, detta Giralda, con tutto lo splendore del campanile che è uno straordinario esempio di arte mudejar arabo-cristiana, oppure,  per fare pochi altri esempi, a Bordeaux, Orleans, Reims.  “Non  si capisce  – conclude  Mantovani – perché il passaggio della tramvia in ambienti monumentali sia più grave di quello di altri veicoli o di dilaganti dehors e bancarelle. L’ unico aspetto negativo potrebbe essere quello dell’intrusione della linea aerea nella visuale, ma oggi è semplice realizzare alcune tratte senza linea aerea”. Tanto è vero che il progetto fiorentino delle due nuove linee per Rovezzano e per Bagno a Ripoli prevede ampi tratti a batteria, percorsi dall’ultimo innovativo tram di Hitachi che si inaugurerà proprio a Firenze.

Ma è più facile conquistare adesioni lanciandosi contro i pali e per gli alberi,  che comunque ogni tanto vanno rinnovati. Eike, come vuole essere chiamato, ha abbastanza giudizio da non proporre di radere al suolo l’esistente ma vuole  fermare quanto sta partendo. Prima propone di rivedere il progetto mandando i tram in  sotterranea per alcuni tratti, a ben 30 o 40 metri di profondità. Poi cambia idea e lo vuole sostituire con i filobus. Nella terza esternazione, il nocciolo:  favorire “il trasporto individuale che è fondamentale”. In soldoni, largo alle auto senza nessun ostacolo di rotaie o sedi protette in cui fare scorrere i tram regolarmente (la regolarità è ancora più apprezzata dei viaggiatori della velocità). Con buona pace del climate change, dell’inquinamento,  della transizione ecologica, delle prescrizioni europee e dello stesso autista schiacciato come una sardina in code interminabili.

Insomma la tramvia torna a essere il diavolo. Sulla base di trovate che sembrano fantasiose. Chiediamo lumi all’esperto. Perché il tram dovrebbe essere preferito a altri mezzi?, è la domanda. Spiega Mantovani: “La motivazione più solida per scegliere il tram è la sua elevata capacità di trasporto, dovuta al fatto che la via guidata (il binario) permette di avere veicoli molto lunghi e quindi più capaci. Un tipico autobus da 12 metri ha indicativamente una capacità di trasporto di 80 persone, un autobus da 18 metri di 130, mentre un tram da 32 metri, il più usato, ha una capacità indicativa di 200 persone e uno da 42 metri (abbastanza diffusi in Europa) di 270 persone.” Dunque, prosegue l’ingegnere, “per linee con maggiore domanda di trasporto, che richiedono quindi maggiore capacità, bisogna passare al tram, anche se tra costruzione ed esercizio, i costi sono maggiori. Comunque, se si rapporta il costo di esercizio ai passeggero trasportati, ecco che confrontando tram e autobus, vince il primo: per una linea tranviaria con un costo di esercizio di 9 euro al chilometro il costo di esercizio per passeggero-chilometro risulta di 3,3 centesimi, mentre per una linea autobus con costo di esercizio di 4 euro al chilometro e con autobus da 12 metri è di 5 centesimi”.

Ma non valgono solo le considerazioni economiche continua Mantovani: “Il tram moderno ha però altri vantaggi, difficilmente valutabili in termini economici: offre una marcia molto più confortevole e una migliore accessibilità (non solo per i disabili), richiede una larghezza della sede riservata inferiore a quella di una corsia autobus, ha un elevato rendimento energetico, non inquina l’aria. Quest’ultima caratteristica è comune al filobus che però mantiene le stesse caratteristiche dei bus”. Oltretutto sulla questione pali è  evidente che il filobus avrebbe gli stessi problemi del tram, essendo a trazione elettrica.

 Quanto all’interramento episodico delle tramvie di cui parla Schmidt,  Mantovani è netto: “Una tramvia alla profondità di 30-40 metri non ha senso. Per far scendere e risalire i tram occorrerebbe una rampa di 600 metri in discesa e in uscita, di cui 100  metri allo scoperto”. Dunque  un intervento sulle strade assai più pesante del tram che scorre in superficie. Per di più la tramvia, che fonda gran parte della sua attrattiva nell’essere un mezzo alternativo all’auto semplice e alla portata di mano, facilmente abbordabile lungo la strada tramite fermate ravvicinate e pianale raso terra,   diventerebbe un mezzo faticoso con fermate lontanissime tra di loro.

A meno di non volerle fare sottoterra dove, a quel livello di profondità, farebbero perdere ai passeggeri un lungo tempo di saliscendi e costerebbero moltissimo di manutenzione, fa notare  qualsiasi esperto. Soluzione tanto più impossibile quanto inutile, osserva Mantovani, “ora che esistono tram con batterie a lungo funzionamento, e dunque senza pali o fili aerei per lunghi tratti”.

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