Daniela Anna Simonazzi
Trovo sconcertante che una città come Reggio Emilia non abbia mai dedicato nulla ad Alceste Campanile. Sono le parole pronunciate dal giornalista Alberto Guarnieri durante la presentazione del suo libro-fumetto “1975- Un delitto emiliano”. Ciascuno di noi può convenire che non sia la prima volta che in circostanze simili emerga la suddetta constatazione e sottintesa proposta. Nella nostra città è un’abitudine consolidata che ci siano corsie preferenziali per meritare un posto nella memoria collettiva. La serata alla Panizzi dedicata ad uno dei delitti più sconcertanti della storia reggiana è meritevole ma ha riproposto la solita dinamica che caratterizza questi eventi. Un susseguirsi di se forse ma che prende il via dalla “frattura generata dall’8 settembre ’43” per arrivare alla “mancata condivisione della memoria”, poi gli anni di piombo e la gente che voleva cambiare il mondo”, “la pista di destra”, “quella di sinistra”.
Parlare degli anni Settanta, per chi li ha vissuti, crea l’occasione di parlare di sé, di essere protagonisti ancora oggi di una dialettica che spesso sfiora i contenuti, sempre nella tensione di dire la cosa più bella e non la più giusta. Una gara tra intelligenze che cercano di catturare consenso dal pubblico per giustificare i propri fallimenti o per ribadire gli ideali di un tempo. È un esercizio che non vedrebbe coinvolto, se la sua vita non fosse stata spezzata, il giovane Alceste. Parole e parole che spesso trascurano l’essenziale. Di Alceste anche in questa recente occasione non si è parlato anche se tutti conoscevano i fatti, tutti conoscevano le dinamiche, tutti conoscevano tutti. Elementi che basterebbero ad avere una certezza sulla verità ma non è così.
Alceste aveva 22 anni, li avrebbe festeggiati a luglio, il mese successivo la sua inspiegabile uccisione, era un ragazzo che aveva il coraggio delle proprie idee, amava dire ciò che pensava anche se non in sintonia con un’ideologia alla quale si doveva giurare fedeltà. Non era uno stupido, è stato ribadito nella serata di venerdì, e questo, soprattutto in quegli anni, non giocava a suo favore.
Nessuno sa con certezza se nella vicenda Campanile la giustizia abbia trionfato o se, come accade a volte, la verità storica non corrisponda a quella giudiziaria. Nel nostro Paese sembra essere un motivo ricorrente, siamo oramai rassegnati alla mancata giustizia su tanti delitti . Resta il fatto che un colpevole c’è anche se molti sollevano dubbi sull’ammissione del pentito Bellini.
Un verdetto è stato emesso e basta per far sì che – volendolo fare – qualcuno possa guardare negli occhi l’autore del delitto di un innocente. Nel caso ci sia stato o accada un incontro di riconciliazione con i familiari immagino un grande imbarazzo ad accettare un gesto umanamente così importante se la verità dei fatti fosse un’altra. Restiamo comunque nella realtà pur nella speranza che una certezza assoluta possa negli anni emergere dal momento che i protagonisti di quell’epoca sono ancora abbastanza giovani e con tanta voglia di raccontare.
Se la città di Reggio non ha mai dedicato nulla a uno dei suoi “figli più belli” e non è la prima volta che accade, bisogna riconoscere che là dove manca una volontà politica, il buon senso e la sensibilità di qualcuno ci confortano. In ricordo di Alceste Campanile esiste uno spazio a lui dedicato in rete. Basta leggere la lettera della madre Lucrezia inviata agli autori dell’iniziativa in occasione del trentesimo anniversario della morte il 12 giugno 2005 per comprendere il valore umano di un gesto concreto. Non riesco a capire come mai – da noi in particolare – ci siano figure esemplari che meriterebbero di essere proposte ai giovani di oggi, ma pagano ingiustamente il prezzo di un oblio dovuto alle circostanze oscure e ai misteri che avvolgono la loro tragica morte.