Non si fermano. Nessuno si ferma, nessuno ci ripensa, nessuno fa marcia indietro. La battaglia fra politica e magistratura va oltre il Parlamento, Palazzo Chigi e le Procure, investe il Consiglio superiore della Magistratura e travalica anche i confini nazionali, arrivando a Bruxelles e all’Aia, sede della Corte Penale Internazionale.
L’ultimo atto è a cura delle opposizioni che depositano alla Camera la richiesta di una mozione di sfiducia per il ministro Carlo Nordio “in merito alla gravissima vicenda della liberazione e del rimpatrio con volo di Stato del torturatore libico Almasri”. Verrà discussa il 25 febbraio. Intanto, il Tribunale dei ministri, cui aveva passato le carte il procuratore di Roma Francesco Lo Voi, avvia l’indagine per ‘omissione di atti d’ufficio’ sempre all’indirizzo di Nordio.
Sul fronte estero, è l’ordinanza esecutiva di sanzioni alla Corte Penale Internazionale, firmata dal presidente americano Donald Trump, che accende un’altra miccia in Italia: 79 su 125 Stati membri firmano una lettera di protesta contro gli Usa e di solidarietà alla Corte dell’Aia, ma l’Italia non è fra i 79 solidali, nonostante l’Unione europea condanni compatta la scelta americana e nonostante lo Statuto che istituisce la Corte penale internazionale sia stato firmato nel 1998 proprio a Roma, capitale che si presume più sensibile di ogni altra alle istanze dell’Aia. Invece, il governo Meloni si affianca all’Ungheria di Orban e alla Repubblica Ceca , unici in Europa che rifiutano di condividere quel documento. Forse si è sentita troppo forte l’eco del caso Almasri che ha visto contrapporsi duramente il nostro governo alla Corte dell’Aia, messa all’indice dal ministro della Giustizia per aver ‘pasticciato’ il mandato di arresto ad Almasri: troppi errori tecnici, troppe incongruenze per Nordio, al punto da dover considerare quel mandato un atto nullo e non potervi dar seguito, rispedendo il generale torturatore in Libia.
Così il ministro, chiamato in Parlamento a dar conto dei suoi comportamenti, invece di dare spiegazioni, si è rimesso la toga da pm mettendo sul banco degli imputati la Corte Penale Internazionale. Contraddicendosi peraltro, rispetto alle versioni precedenti. Ma questa ormai è storia superata. Per niente superati invece sono i contraccolpi: L’Aia non la prende bene, chiede conto all’Italia dei suoi comportamenti, ma soprattutto avvia un’indagine sull’operato del nostro governo per “ostacolo all’amministrazione della giustizia ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma”. Tutto nasce dalla denuncia di una vittima, un rifugiato sudanese che già nel 2019 aveva raccontato agli investigatori internazionali le torture che lui e la moglie avevano subito dal generale Almasri, quando erano stati imprigionati in Libia.
Il fronte interno ci porta al Consiglio Superiore della Magistratura dove le due consigliere laiche Isabella Bartolini e Claudia Eccher avviano l’azione disciplinare contro il Procuratore di Roma Francesco Lo Voi, per aver innescato l’indagine nei confronti della presidente del Consiglio Meloni, di due ministri (Nordio e Piantedosi) e del sottosegretario Mantovano, sempre per la vicenda Almasri. Atto dovuto o voluto, Lo Voi dovrà comunque dare conto. Non basta, pende sulla sua testa una seconda pratica di ‘incompatibilità ambientale’ dopo l’apertura di un’indagine a Perugia in seguito alla denuncia dei servizi segreti del Dis, su un presunto spionaggio ai danni del capo di Gabinetto della premier, Gaetano Caputi, con notizie finite e pubblicate sul quotidiano ‘il Domani’. Botta e risposta anche dentro il Csm: il consigliere indipendente Andrea Mirenda sollecita una pratica a tutela di Lo Voi dopo le “inaccettabili” critiche della premier, che lo aveva definito come “lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona”.
L’Associazione Nazionale Magistrati si schiera compatta a fianco del procuratore di Roma e continua la sua battaglia contro la riforma sulla separazione delle carriere: l’inaugurazione dell’anno giudiziario è l’occasione per sventolare la Costituzione ed esibire, sulle toghe, coccarde tricolori, uscendo dalle aule quando intervengono i rappresentanti del governo. Si annuncia ufficialmente lo sciopero per il 27 febbraio.
In questo contesto così incandescente l’Anm elegge il suo nuovo segretario, Cesare Parodi, procuratore aggiunto di Torino, di Magistratura Indipendente, la corrente di destra, quindi dovrebbe essere un buon segnale distensivo. Non è una toga rossa, ha l’aria mite e tende la mano chiedendo un incontro alla presidente del Consiglio, che accetta. Evidentemente perfino alla combattente Meloni questa guerra coi magistrati è sembrata troppo cruenta, fuori dai limiti della decenza istituzionale e poi c’è il presidente Mattarella, che dispensa saggezza ma forse anche moniti.
Tant’è, la premier si affretta la sera stessa della elezione di Parodi a mandare questo messaggio: “Desidero inviare a nome mio e di tutto il Governo i migliori auguri di buon lavoro al nuovo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Accolgo con favore la richiesta di un incontro col Governo che il presidente Parodi ha già avanzato e auspico che, da subito, si possa riprendere un sano confronto sui principali temi che riguardano l’amministrazione della Giustizia nella nostra Nazione, nel rispetto dell’autonomia della politica e della magistratura”. E Parodi: “Desideriamo assolutamente mantenere aperto un dialogo col governo perché mi sembra condizione fondamentale dei rapporti umani prima che dei rapporti istituzionali. Noi siamo disponibili ad ascoltare, a capire, a spiegarci”. Anche il ministro degli Esteri Tajani, un ‘falco’ sulla separazione delle carriere e uno dei più critici nei confronti della Corte dell’Aia, riprende il suo stile moderato e fa sapere che apprezza le parole di Parodi.
Insomma, sembra aprirsi un nuovo varco, una tregua. Il ministro Nordio, a sua volta, fa sapere di un dialogo aperto con la Corte Penale Internazionale alla quale invia una lettera dove si dice “pronto a collaborare e a fornire tutte le spiegazioni necessarie”.
Ma la schiarita pare regga poco, fermandosi al savoir faire istituzionale. I macigni sono insormontabili, lo sciopero resta intoccabile per i magistrati di ogni corrente e la separazione delle carriere non si fermerà, avvertono governo e maggioranza: “Possono fare tutte le manifestazioni che vogliono e tutti gli scioperi ma su questo andremo avanti e sempre di più aumenta la nostra determinazione”, continua a dire Nordio.
Anche l’Anm rialza i toni, così il neosegretario Parodi: “Mi hanno scritto che sono un eversore, che minaccio il Parlamento… io sono un uomo assolutamente mite. Un mite logorroico. Noi magistrati non siamo la banda Bassotti. Dico solo che mi piacerebbe poter illustrare con serenità le nostre posizioni, non contro qualcuno ma a difesa di un sistema normativo che è espressione della Costituzione nella quale noi ci riconosciamo, che ci piace”. Più esplicito è stato il nuovo segretario generale dell’Anm Rocco Maruotti: “I magistrati non trattano. La riforma va ritirata”. Quindi il 27 si sciopera. E il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto: “Nel momento in cui la premessa del dialogo è ‘revochiamo lo sciopero se ritirate la riforma’ si è di fronte a un aut aut che vìola le prerogative del Parlamento”. Quindi la separazione delle carriere va avanti spedita in commissione al Senato con la sua seconda lettura.
Le schiarite si rabbuiano nuovamente, come si vede. Si aspetta l’incontro salvifico – o inutile – fra Meloni e Parodi, che è stato fissato al 5 marzo, dopo il fatidico 27 febbraio, quando le toghe incroceranno le braccia.
Al momento c’è una sola vera buona notizia. Arriva dal Parlamento che, in seduta comune, ha finalmente eletto i quattro nuovi giudici della Corte costituzionale, sanando una scandalosa inadempienza. Si tratta di Francesco Saverio Marini, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e consigliere giuridico a Palazzo Chigi; Roberto Nicola Cassinelli, ex parlamentare e avvocato; Maria Alessandra Sandulli, professoressa ordinaria di diritto amministrativo e giustizia amministrativa nell’Università Roma Tre; Massimo Luciani, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico all’università La Sapienza di Roma. Non si riusciva a fare neanche questo, con uno stallo che andava avanti da diversi mesi nonostante le ripetute sollecitazioni del presidente della Repubblica. La premier Giorgia Meloni , per l’occasione, ha rivestito i panni istituzionali e inviato “a nome proprio e del Governo, un messaggio di auguri ai nuovi giudici della Corte Costituzionale esprimendo “la propria soddisfazione per l’ampio accordo raggiunto tra le forze parlamentari, che ha consentito la contestuale elezione dei quattro componenti e la ricostituzione del plenum della Consulta”. E, per l’opposizione, il senatore Graziano Del Rio commenta: “Sono tutti ottimi profili, maggioranza ed opposizione hanno fatto un ottimo lavoro”.
Applausi e soddisfazione generale, tante belle parole. Almeno il dossier Corte costituzionale, dopo mesi di melina e contrasti, si è chiuso con onore. La politica stavolta ce l’ha fatta e sembrava un’altra politica, un altro Parlamento, un altro Paese, rispetto allo spettacolo desolante che abbiamo visto negli ultimi giorni.
in foto Cesare Parodi