Toscana, crisi sistemica del lavoro dipendente, si rafforza la rendita

Arretra la manifattura industriale, il sistema traballa, Toscana in caduta
Il nuovo presidente dell’Ires Maurizio Brotini

Firenze – Toscana, ex Toscana Felix, ex terra di sviluppo, ex isola felice rispetto alle infiltrazioni mafiose, alle illegalità del caporalato, Ciò che emerge dall’analisi dell’Ires, di cui si è occupata la stampa cittadina qualche tempo fa, è un quadro incrinato, se non compromesso, del vero volto della Toscana. Abbiamo raggiunto il nuovo presidente dell’osservatorio economico della Cgil, Maurizio Brotini, per cercare di capire i punti di debolezza e di forza di questa fotografia.

“Il punto di debolezza del panorama economico toscano – spiega Brotini – è un processo che vede un arretramento della presenza manifatturiera industriale distrettuale e artigiana, da due punti di vista: non solo nel numero degli occupati, ma anche in termini di ricchezza redistribuita. Mi spiego. Prendiamo il settore industriale, nello specifico il manifatturiero industriale, che mediamente va molto meglio rispetto ad altri settori più fragili. La redistribuzione della ricchezza avviene nella fattispecie in due modi: rispetto a quante persone ci lavorano direttamente, al netto di appalti, subappalti e così via; e quanti salari erogano”.

Due indicatori non coincidenti, su cui si riscontra una contrazione, dovuta a volte a fattori esogeni, come ad esempio per le attività manifatturiere industriali della costa, dove, ricorda Brotini, “il problema riguarda anche la dismissione delle partecipazioni statali”.

“Non a caso – dice Brotini – sulle province di Livorno e Massa Carrara, le pensioni medie sono più alte dei redditi medi. Ciò significa che in quelle realtà ci sono pensionati che erano lavoratori dell0iundustria, quando ancora si andava in pensione con la pensione pari allo stipendio. Il fatto che i salari medi attuali siano più bassi è significativo. E cosa significa? Che se non si innesca un processo inverso importante, ovvero una reindustrializzazione, quando andranno a regime le nuove pensioni e scompaiono quei pensionati che hanno pensioni di lavoro importanti, quelle realtà (Massa Carrara è la realtà dove la crisi è più profonda) subiranno un ulteriore peggioramento”.

Tutto ciò fa riflettere e introduce per consecutio logica un altro argomento. “Tirando le fila, il punto di debolezza è la rendita immobiliare trascinata dal commercio, dal turismo e da ciò che chiamiamo la terziarizzazione dei costi.
Un processo che devasta le città, rende invivibile la vita anche a quei segmenti di proprietari che continuano a vivere nei contri storici, ma soprattutto produce un’occupazione che risulta non solo precaria, ma che se anche fosse a tempo pieno tutto l’anno (e così non è anche per fenomeni di stagionalità) non percepisce salari medi pari a quelli dell’industria”-

Eppure, viene spesso ricordato che in realtà nel contesto regionale, l’industria turistica incide molto, ma non tanto quanto si possa pensare: secondo l’Irpet (Istituto Regionale Programmazione Economica della Toscana), il turismo ha un peso economico di circa l’8% in Toscana. Una voce importante senz’altro, ma rimane il resto. E bisogna vedere in cosa consista il “resto”. “Partiamo da un dato che tutti conoscono ma nessuno racconta . La Toscana considerando il pil pro capite, dal 2000 al 2021, passa dalla 51esima posizione su 215 regioni europee, a 48 posizioni meno. In vent’anni, considerando il pil pro capite, si precipita di 48 posizioni. Ci ritrovaimo 99esimi fra le regioni d’Europa”.

Questo processo ha un solo nome: impoverimento. Una performance peggiore della Toscana ce l’ha solo l’Umbria. Naturalmente, in tutto ciò le regioni del Sud Italia diventano le regioni del Sud d’Europa. Riguardo alla gravità della situazione toscana come ricorda Brotini, ormai molti analisti economici ne parlano come la prima regione del Sud. “Subiamo, per quanto riguarda i redditi da lavoro dipendente, settore privato, il dato storico che non sono tutti redditi. I redditi da ricchezza toscana sono il vero problema che deriva dalla rendita, non di chi lavora in quei settori.

Parlando delle persone in carne e ossa, su un significativo campione di 1 milione 118 mila e 385 lavoratori a fronte di un numero totale di lavoratori che, mettendoci anche agricoli e pubblici, non arriva a un milione e 600mila, “abbiamo 125 mila persone, l’11%, che guadagna meno di 7mila euro lordi l’anno. 115 mila persone, pari al 10%, che guadagna 10mila 511 euro l’anno, ne abbiamo 138mila, pari al 12,4%, che guadagna 10mila 787 euro l’anno, il 33% dei lavoratori nei settori privati che guadagna meno di 10mila euro l’anno. di cosa si sta ragionando?”.

Sì, ma sono aumentati i contratti a tempo indeterminato. “Fermiamoci a riflettere. Certo, meglio il contratto a tempo indeterminato di quello a termine, ma se il primo non è a tempo pieno, è part-time e discontinuo (ovvero non si lavora 52 settimane), il reddito medio è poco più di 10mila euro. Se mi trovassi a tempo indeterminato full time e discontinuo, il reddito medio lordo è 19.670 euro (in questa situazione si trovano 140mila lavoratori). I lavoratori messi meglio sono quelli che lavorano a tempo indeterminato, full time, anno intero, che sono solo il 38,3%. In Toscana, quelli che stanno “bene”, nei settori privati, sono il 38,3%. Se si rimettono in ordine i dati, abbiamo come prima evidenza che la percentuale di part time della Toscana nei lavoratori del settore privato è pari al 35%. La media italiana è il 33,3%. Se confrontiamo i nostri dati con quelli di regioni simili come l’Emilia Romagna, e il Veneto, il part time privato è quasi a 7 punti meno, rispettivamente 28,8 e 28,5″.

Non solo. “Di questo part time, mettendo l’asticella a un guadagno di 15mila euro l’anno, abbiamo il 68,2% che guadagna meno di 15mila. Un po’ meglio della media nazionale che si aggira sul 70%, ma molto peggio rispetto ad esempio all’Emilia Romagna , ferma a 62,8, o al Veneto, al 62.6”.

Continuando con i dati: il 46,2% dei lavoratori del settore privato, ha un lavoro discontinuo, media nazionale 46.6, Emilia Romagna 42,3, il Veneto il 39,8. Chi lavora full time per tutto l’anno, in Toscana, sottolinea Brotini, “sono solo il 39,8 , a livello nazionale sono il 40,4. In Emilia Romagna sono il 40,5%, in Veneto il 47,2. Ecco un altro dato della terziarizzazione debole: fra quelli messi meglio, che guadagnano meno dei 15mila euro lordi, la percentuale toscana è pari al 7,3, che è più alta della media nazionale 6,4. Il Veneto è al 4,7”.

Più part time, più lavoratori discontinui, fra il 40% dei lavoratori a tempo indeterminato si cela una percentuale maggiore di lavoratori, rispetto all’Emilia Romagna e Veneto che guadagna meno di 15mila euro l’anno. Tornando poi allo sguardo generale, non si può non sottolineare la differenziazione che sta avvenendo fra le varie aree regionali, che vede ad esempio la caduta vertiginosa della provincia pistoiese e una resistenza positiva di quella fiorentina. Tuttavia, come spiega ikl sindacalista, il vero problema è che la ricchezza di questa regione gode anche di altre forme come una rendita forte, mentre per il lavoro dipendente si sta scivolando nell’incubo.

Sorvolando su altri dati e indicatori, dall’analisi emergono, secondo la sintesi del presidente dell’Ires, alcuni punti fermi.

“Si sta vivendo un processo di impoverimento complessivo legato alla contrazione dell’attività manifatturiera-industriale; una polarizzazione sociale soprattutto su lavoro dipendente, per il quale abbiamo risultati peggiori, o solo poco migliori della media nazionale, ma peggio di regioni comparabili alla nostra come Emilia Romagna e Veneto. Inoltre, non c’è omogeneità: a seconda di dove si vive, a prescindere dalla propria condizione, ci sono ricadute negative o positive. Al declino, si accompagna la crescita delle rendite, ovvero delle grandi ricchezze, si polarizza anche il lavoro autonomo, a seconda di dove abiti, in Toscana, ci si trova in mondi diversi”. Altro che isola felice.

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