Il patto col diavolo. E’ questo, il rischio onnipresente quando si parla di cosche e di soldi delle cosche, tanti, illimitati, freschi, insanguinati. Un miraggio, per molte aziende in questi tempi di crisi. Ma se il balenare dell’oro porta all’indebolimento delle difese culturali molto vive in terra di Toscana, il rischio è altissimo e senza ritorno: trasformare la Toscana in terra di mafia.
Perché le cosche ci sono già, e da tempo, nella nostra Regione. E il loro giro d’affari è stimato, dalla Fondazione Caponnetto che stamattina 9 gennaio ha illustrato il suo Rapporto 2011 sulle mafie nel territorio, sui 15 miliardi di euro. Tutte insieme, dalla mafia russa, a quella albanese, a quella nostrana intesa come infuocato tridente di Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra (senza dimenticare le cosche pugliesi, per ora almeno apparentemente più territoriali) a quella cinese, fino alla new (non più tanto new, a dir la verità) entry della mafia nigeriana. Passando da quella nordafricana legata soprattutto allo spaccio di stupefacenti, a quella rumena dedita in particolare a prostituzione e traffico di clandestini e badanti, fino a quella bulgara e a quella (ancora agli albori e indeita per la Toscana) senegalese, tutte le cosche tansitano e hanno affari forti legati al territorio toscano.
Che però si difende. Infatti, se alto è il tasso di presenza economica mafiosa, il rischio di colonizzazione è sostanzialmente contenuto, con punte preoccupanti: Lucca, ad esempio, che vede un forte circolo economico gestito dalle cosche insieme a un tasso medio-alto di rischio di colonizzazione, tasso definito “alto” invece per Massa Carrara. “Il tessuto toscano, di base, possiede gli anticorpi per contenere la colonizzazione mafiosa – commenta Salvatore Calleri, presidente regionale della Fondazione Caponnetto – basti ricordare il fatto che è l’unica Regine italiana dell’area Centro-Nord ad avere un’associazione a scopo dichiaratamente anti-mafioso autonoma, o le frequenti iniziative conreo il diffondersi della cultura delle cosche, o anche i 700 ragazzi, liceali, studenti, che ogni anno vanno per una settimana a coltivare le terre consifscate alla mafia. Tutto ciò dà l’idea di una terra che ricusa alle basi l’attecchire di una cultura mafiosa”.
Sì, però … però la crisi è brutta consigliera. Il seccarsi dei prestiti da parte delle banche, lo scomparire della liquidità, la’uemntare della disperazione, lo stesso senso di responsabilità verso i èropri lavoratori, possono condurre qualcuno alla malsana pensata di stringere il patto col diavolo. Ma, si sa, il diavolo chiede indietro sempre molto di più di quanto si è disposti a pagare.
Allarme dunque. Ad esempio, per i rischi di infiltrazioni mafiose negli appalti della ricostruzione post-alluvione. ''Le ricostruzioni vanno sempre controllate attivamente – ha spiegato il presidente della Fondazione toscana Salvatore Calleri – come ci dimostra l'Abruzzo: abbiamo scoperto che la la 'ndrangheta stava raggiungendo accordi direttamente coi privati, per bypassare i controlli pubblici''. Più in generale, Calleri ha detto che ''su tutti i lavori privati dobbiamo iniziare a fare uno screening per vedere se le ditte mafiose stanno entrando anche lì, bisogna studiare un modo, perchè non sono previsti controlli''. Altro passaggio da monitorare con attenzione, alberghi, ristoranti, pensioni, agriturismi. Un terreno appetibile per il riciclo di denaro, soprattutto alla luce di alcuni, recenti, rapidi passaggi di proprietà. Allarme condiviso anche dalla Fipe Commercio, che avvisa che, se i controlli e gli interventi non saranno tempestivi, entro tre anni le imprese sane presenti nel centro di Firenze e nelle altre città turistiche della Toscana diventeranno una minoranza.
Allerta anche per gli incendi dolosi, ormai dimenticati dalle cronache, che hanno visto protagoniste le ditte di trasporti e edili a Porcati, nel pratese, nel calenzanese, nell’empolese. Casi rimasti irrisolti. O per gli appalti della variante di valico fra Emilia e Toscana, o per il controllo di locali notturni e fette di mercato immobiliare.
Un punto particolare su Massa Carrara, rivela poi che, secondo il rapporto 2011, Massa Carrara è la provincia dove più alto è il rischio di penetrazione mafiosa: ''Confina con la Liguria ed è terra di passaggio per il Ponente – ha spiegato il presidente della Fondazione – ci sono stati allarmi sia per quanto riguarda infiltrazioni di Cosa Nostra, sia per il lavoro delle cave, che per gli appetiti sulle strade del marmo''. E poi, allarme rosso per il porto, che, conclude Calleri, “rischia di trovarsi allineato in una sorta di sistema con Gioia Tauro e LaSpezia”.