Tornano i monaci nella Badia a Settimo riunita dopo 237 anni

Badia a Settimo – La Badia a Settimo, complesso monastico che nel corso di secoli fu determinante per la storia di Firenze e la vita dei fiorentini, ritrova la sua unità di documento storico e grande monumento architettonico.

Grazie alla collaborazione fra don Carlo Maurizi, priore della Badia di Settimo e Paolo Nocentini presidente della Savino Del Bene, sponsor dell’iniziativa, la parte Sud Occidentale ritorna ad essere un tutt’uno con la parte Nord Orientale separate e smembrate nel 1783 ad opera del Granduca Pietro Leopoldo di Toscana. Un terzo degli edifici fu lasciato alla parrocchia, il resto finì in mano privata diventando poi vittima di un graduale degrado.

L’intero progetto di recupero è stato presentato oggi nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato insieme a don Maurizio e Nocentini, anche il fondatore di Slow Food Carlo Petrini e Sergio Staino. 

La svolta è avvenuta il 21 Febbraio 2019 con il rogito di compravendita della parte mancante a nome della Fondazione “Opera della Badia di Settimo” dopo più di vent’anni che hanno visto l’impegno di numerosi protagonisti per porre fine al lento degrado.

A realizzarla è stato l’apporto decisivo della Savino Del Bene S.p.A che ha sostenuto gli obiettivi della Fondazione “Opera della Badia di Settimo”, costituita nel 2008 per raccogliere e dare solidità a tutto il lavoro degli anni precedenti, che ha lo scopo  di recuperare, gestire e valorizzare in toto il venerabile monastero e la sua spiritualità.

L’intero complesso del monastero verrà poi aperto a una comunità di monaci benedettini vallombrosani. In questo modo quel centro di spiritualità potrà riacquistare la sua  missione nel solco di un ruolo che fu decisivo per la crescita di Firenze e dell’Europa.

L’acquisto ha rimarginato definitivamente una dolorosa  ferita che anche in questo territorio ha prodotto fino ad oggi  molte conseguenze negative che saranno definitivamente superate anche quando ritornerà nel monastero una comunità religiosa, possibilmente di monaci di tradizione benedettina”, ha spiegato don Maurizi -. Perché risorga una spiritualità, che restituisca a questo luogo la sua propria funzione di oasi  dell’anima, in un mondo tutto ripiegato nel consumo”.

Tutti gli intervenuti hanno rivolto un appello alle istituzioni perché svolgano  “il ruolo che è di loro competenza, con attenzione e saggezza”:  “Intorno alla abbazia e nel suo ambiente circostante è necessaria una visione  progettuale intelligente e lungimirante. Questo è l’apporto che si rende veramente urgente  contestualmente Per esempio, qui è necessario  ricostruire le configurazioni ambientali offese da interventi  dannosi, preservare  con decisione la residua identità agricola originaria e le produzioni genuine, togliere il traffico pesante e dei mezzi pubblici che quotidianamente non solo disturba  ma danneggia tutto quello che si può fare di bello e di buono,  allontanare il traffico privato e industriale che ora lambisce i campi anche entrandoci, incrementare la presenza di alberi in tutta  la zona invece di demolirli sistematicamente, perché gli alberi sono vita e respiro. Sostituire i lampioni da zona industriale, abbattere l’inquinamento luminoso  con tecnologie avanzate e  togliere l’impatto  di cassonetti e discariche di ogni tipo”.

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