Facciamo una debita premessa, per inquadrare al meglio ciò su cui a breve argomenteremo, Durante la campagna elettorale del primo Luca Vecchi, correva l’anno 2014, emerse dagli ambienti dell’intellighenzia locale, una roboante lettera firmata da 30 opliti, che cercavano così di opporsi strenuamente al Serse della cultura un po’ troppo (a loro modo di vedere) in mano alla pubblica amministrazione. Missiva che venne spalmata in lungo e in largo sulla stampa e che chiedeva in sostanza la creazione di una Fondazione, sullo stile di quelle anglosassoni, la sola in grado di convogliare su di essa teoricamente, fiumi di investimenti privati ed alzare così il livello delle proposte di settore. Tra i vergatori della missiva c’erano tra gli altri Davide Zanichelli (che sarebbe divenuto nel 2016 presidente della Fondazione Palazzo Magnani), il grafico/blogger/comunicatore Stefano Salsi, ora pure spin doctor del segretario provinciale Pd Massimo Gazza e 28 altri illustri colleghi.
Erano tempi di renzismo spinto, quindi alcuni passaggi di quel documento non sono invecchiati benissimo. Si proponeva infatti “l’eliminazione dell’assessorato alla cultura” per togliere il futuro sindaco dall’imbarazzo delle “fila di questuanti” che cercano “di favorire un nome piuttosto che un altro”. La chiusura dell’appello era forte: “Cosa abbia a che fare la politica con la cultura facciamo veramente fatica a comprenderlo”.
E’ curioso però che le linee guida delle politiche culturali del Comune di Reggio Emilia vadano da tempo in direzione completamente opposta. Annalisa Rabitti, poi diventata assessore alla cultura nel Vecchi-bis (quello scaduto 5 mesi fa) , così scriveva nel 2019 nel suo programma elettorale. “Per una città che vuole favorire l’accoglienza, si è inteso promuovere progetti che incoraggiassero la partecipazione e l’inclusione, producendo azioni culturali di qualità, accessibili a un pubblico diversificato, proseguendo nel percorso della cultura per tutte le persone: anziani, bambini, persone fragili, giovani, adulti, culture e lingue diverse, generi”. Dunque, la cultura e l’arte al servizio della città. Programma che, va dato atto ad Annalisa Rabitti, l’assessora ha sostanzialmente cercato di rispettare. Ma che, come si nota, è assolutamente antitetico ai propositi dei firmatari del documento del 2014. Alcuni dei quali nel frattempo, sono arrivati ai posti di comando della cultura cittadina.

Il Vecchi-one, cioè nel suo primo mandato, avocò a sé la delega alla cultura ma portò comunque a termine l’operazione Fondazione Palazzo Magnani (in ciò ascoltando le sirene epistolari dei 30 famosi) facendone una partecipata del comune. Di fatto da quel momento è Palazzo Magnani, fatte le notevoli eccezioni dei Teatri e della Collezione Maramotti, il vettore delle più importanti manifestazioni d’ambito sul nostro territorio, quelle in cui ancora circolano almeno un poco di necessari soldini: vedi ad esempio Restate e soprattutto Fotografia europea. Di grandi investitori privati però nemmeno l’ombra, il main sponsor resta anche in questo caso Pantalone, ovvero Iren, la multiutility di acqua, gas ed energia, alimentata dalle bollette di noi cittadini, che foraggia tutte le principali iniziative reggiane. La fonte del sostentamento culturale resta la medesima, semplicemente il braccio operativo si è spostato, sul piano formale, da piazza Prampolini, ove hanno sede gli uffici amministrativi, a corso Garibaldi, ove alligna appunto Palazzo Magnani.
Insomma, come era facilissimo prevedere, all’orizzonte non si sono presentati nessuna Peggy Guggenheim, nessun Getty, nessun Gagosian. Mica siamo in Amerika, siamo a Massenzatico, Masone e dintorni. Al massimo la geopolitica della cultura locale si spinge fino ad Albinea, nuovo cuore pulsante della cultura reggiana, forse perché tra Albinea e Canali dimorano molti dei pochi decisori che reggono da 20 anni il timone della città. Insomma, a Reggio, esaurita da tempo buona parte della spinta propulsiva delle coop, c’è solo Iren. I cui vertici sono nominati dalla politica, e cioè dai sindaci di Reggio Emilia, Genova e Torino. E che certo ascoltano con attenzione quando il sindaco e l’assessore di turno gli chiedono di finanziare questa o quella iniziativa culturale. Anzi, per facilitare le cose fino a poco tempo fa sedeva un rappresentante di Iren sia nel cda dei Teatri che in quello di Palazzo Magnani.
Tornando ai giorni recenti, anzi recentissimi e scoccati ormai i 5 mesi dall’insediamento della giunta di Marco Massari, balza all’occhio il semi-immobilismo del neo assessorato alla Cultura. Quella poltrona per 2 che vede in coabitazione l’assessore de jure Marco Mietto, figlio di 2 ex segretari dell’allora Dc locale e quello de facto Piergiorgio Paterlini, scrittore post-tondelliano di una certa fama conquistata sul campo della lotta editoriale nel delicato mondo delle rivendicazioni dei diritti omosessuali quando il tema, anche a sinistra, non era certo di facile sdoganatura. Non è certo un segreto come il Capo di Gabinetto, Marco Pedroni, che potremmo definire il co-sindaco di Marco Massari (il titolare della cattedra) stante la sua netta superiorità esperienziale amministrativa rispetto all’amico omologo ex infettivologo, avesse già individuato in Paterlini – suo vecchio amico fin dagli anni ’80, più o meno quindi dal mesozoico della politica, cioè dal festival di “Cuore”, il periodico satirico dell’allora Pci – il candidato ideale alla guida della cultura. Ed anche come sia stato lo stesso Paterlini a chiedere una coabitazione con Mietto affinché l’impegno risultasse meno gravoso. E così è stato.

Mietto dal suo canto si è fatto notare, pochi giorni dopo l’insediamento della squadra massariana, per un’intervista visionaria (di quelle in voga negli anni ’70) sul modello culturale desiderato per Reggio Emilia. La Glasgow anni 2000 (cioè di 24 anni fa). Poi più nulla. Nel senso che di Mietto, almeno ad oggi, si son perse le tracce. Più attivo invece Piergiorgio Paterlini, almeno sul fronte della promozione dei suoi datati e/o più recenti libri, tutti di ottima fattura per carità, ma insomma l’ufficio che ha accettato di co-condurre dovrebbe occuparsi appunto di cultura più a 360 gradi. Anche la pur lodevole iniziativa della discesa a Reggio del premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, risente un poco di questa propensione, avendo pubblicato, Paterlini con Parisi, un recente volume di discreto successo commerciale..
Tornando alla famosa lista della spesa dei 30 con cui abbiamo aperto il qui presente articolo, cosa resta di quell’elenco di desiderata (alcuni punti condivisibili, altri assai meno)? Poco o punto. Partendo dal presupposto che anche i sassi hanno ormai capito che a Reggio se i mecenati esistono, non investono di certo i loro averi nella pubblica cultura, se non le briciole, ci si deve accontentare dell’esistente, almeno in fatto di sovvenzioni. Alcuni di coloro che misero nero su bianco la famosa missiva del sapere a venire, hanno trovato casa e professione in quegli stessi ambiti su cui un tempo si limitavano a disquisire addivenendo poi a più miti propositi. E così, siccome le istituzioni culturali cittadine, nella visione delle recenti giunte, che è radicalmente diversa da quella dei firmatari del 2014, devono veicolare valori coerenti con l’orientamento politico della città, ad esempio l’attenzione ai soggetti più fragili della comunità e la solidarietà internazionale, l’arte a Reggio Emilia non può esistere per l’arte in sé, dunque si organizzano mostre dedicate a pittori che trasferiscono sulla tela il disagio mentale e convegni dedicati agli artisti africani. Francamente insomma, parrebbe più la cultura a servizio della politica che non viceversa.

Sul fatto che politica e cultura debbano c’entrare poco l’una con l’altra si può anche essere d’accordo. Ma il binomio Mietto-Paterlini appunto, che assomma più di 140 anni in 2 e la cui formazione affonda le radici in decadi in cui non si muoveva foglia che la politica non volesse, difficilmente sarà propenso a far far alla politica un passo indietro. Semmai è più probabile gliene faccia fare uno ulteriore in avanti.
Paterlini, in un commento sui social poi cancellato, a proposito del recente avvenimento in teatro con Parisi, si è addirittura lamentato del fatto che a Reggio, a suo dire, qualcuno non lo vorrebbe “tra i piedi”. Ecco, non vorremmo che questo nuovo, dichiarato primato che la politica ha riconquistato a Reggio producesse il disdicevole effetto di limitare i margini di manovra dei Teatri, che in questi anni, grazie soprattutto a forti direzioni artistiche, ha rappresentato un’eccellenza per la nostra città, e di ridurne drasticamente l’autonomia dall’assessorato alla cultura.