Diciamocelo: forse dovremmo ringraziare Ventura e Tavecchio per aver dato un colpo di grazia anticipato alla Nazionale, squadra che avrebbe avuto molte difficoltà ai Mondiali. Tra vecchi campioni pronti per il carrello dei bolliti (poco prelibati, sportivamente parlando) e nuovi virgulti totalmente sopravvalutati da una stampa acritica, il quadro non era esaltante.
Meglio così dunque: ma chi tifare ai prossimi mondiali? Ovviamente per tutti gli underdog possibili, per gli sfigati anche più di noi, per gli improvvisati e imprevedibili: tranne la Svezia, che ha già avuto una grossa mano dalla penisola e non ha bisogno di ulteriori input.
Ecco una piccola guida per gonzi e scappati di casa del calcio che amano i footballers pittoreschi e le imprese improbabili. I nostri consigli per un consapevole tifo perdente ai prossimi mondiali.
Australia. C’era una volta la generazione dei Kewell e dei Viduka, che portarono il Leeds là dove nemmeno nei più sfrenati sogni erotici potevano far presagire. C’è ancora una leggenda totale in campo: Tim Cahill, già bandiera dell’Everton, con il suo improbabile numero 4 guiderà l’attacco aussie armandolo delle sue fenomenali qualità acrobatiche. C’è poi il sempre valido Mathew Leckie, che sgomma sulla trequarti dell’Hertha Berlino, c’è il capitano Jedinak, un bel piastrone di centrocampo, e l’altra trequarti Rogic del Celtic. Più deboli della squadra che andò fuori con l’Italia nel 2006, gli australiani sono candidati a una rapida uscita di scena, ma non si sa mai.
Iran. Per chi non ha particolari affetti nei confronti di Trump, l’Iran si candida a squadra simpatia del mondiale (se invece volete farvi una coscienza critica, i racconti di Massimo Fini sulla sua frequentazione di Teheran possono andare bene). Il giocatore più noto è Reza Ghoochannejad bomberone dell’Heerenveen in Olanda e già ampiamente fallimentare in campionati più competitivi. Da seguire anche Alireza Jahankbakhsh, puntero già vincitore della serie b olandese (dove ha recentemente fallito, Mastour ma questa è un’altra storia).Molto apprezzato Sardar Azmoun tra i russi del Rubin Kazan, dove più che per la prolificità si segnala per un bel ciuffone sulla fronte. Allenatore è il prof Carlos Queiroz, leggenda delle panchine portoghesi. Insomma, non sono più i tempi di Mehdi Madavikia, del ‘Maradona d’Asia’ Alì Karimi o di Alì Daei, ma i leoni dell’antica Persia possono perdere con stile.
Giappone. Scordatevi gli Shinji Ono, i Nakamura,i Nakata, ma anche gli Inamoto: niente di tutto questo. Oggi il giocatore più quotato della nazionale giapponese è forse Yuto Nagatomo (Kagawa a parte, tragicamente involuto), il che la dice lunga sull’evoluzione del calcio asiatico negli ultimi decenni: uno spettacolare salto triplo all’indietro verso un medioevo da incubo. Peccato perché il Giappone è la squadra simpatia per eccellenza, sempre pronta a presentarsi ai mondiali con dei naturalizzati brasiliani dell’ultimo minuto totalmente inutili (d’altra parte il calcio in Giappone lo ha fondato Zico e chi dice il contrario è un collaborazionista cinese), oppure, come quattro anni fa, con uno splendido mezzosangue giappo-olandese in attacco, Mike Havenaar, figlio di un portierone emigrato nella JLeague probabilmente ai tempi di Schillaci e Lineker; l’uomo più alto dell’arcipelago, il buon Mike, ma sembra fuori dalle grazie dell’allenatore, esattamente come l’ex campione della Premiership col Leicester Shinji Okazaki. Anche i due ‘creativi’, Honda e Kagawa, non risultano convocati negli ultimi tempi. Ci saranno però Inui e Hasebe: saranno sconfitte bellissime.
Corea del Sud. Squadra non tifabile dopo la terrificante corruzione del 2002, ha però un formidabile interprete del gioco pedatorio in Heung Min Son, che a differenza dei nostri presunti campioni, tipo Bernardeschi, fa la differenza in Premier League con il Tottenham e vanta una valutazione sui 30 milioni di euro. La Corea del Sud è pur sempre la nazione che ha dato al mondo un grande Park Ji Sung, visto e apprezzatissimo con la maglia del Man Utd. Noi ai mancuniani abbiamo provato a piazzare Macheda e Taibi, ma non è andata tanto bene (Beppe Rossi, pure, ma sappiamo come è andata a finire). I coreani, in mezzo a limiti evidenti, hanno la qualità di correre come pazzi e potrebbero anche non perdere sempre male.
Arabia Saudita. Lo scatolone mondiale del petrolio, un quinto delle riserve planetarie, calcisticamente ha sempre quagliato poco: si ricorda solo la perla di Sahid al Owairan nel 1994, che trafisse la leggenda belga in guantoni Michel Preud’Homme dopo una discesa in cui saltò cinque o sei difensori avversari. Sesto gol più bello della storia dei mondiali, dice wikipedia, che poi ci racconta pure che Owairan eccedette in amore a pagamento e il severo sistema della giustizia saudita lo collocò a meditare in carcere per un triennio. A parte la fiammata di Owairan, il nulla. E oggi? Attratto dai petroldollari, l’allenatore Edgardo Bauza, già affossatore dell’Argentina, ha deciso di prendersi la patata bollente. Il più forte sarebbe Fahad al Muwallad, ala destra con 36 presenze in nazionale e 8 gol. Candidata fortissima al doppio zero, punti e gol fatti. A meno che il principe Mohamed bin Salman, tra un’epurazione e l’altra, non trovi il tempo di occuparsi della faccenda.
Nigeria. Come fallirà il calcio africano a questo mondiale? Difficile prevederlo, ma se c’è da fare un bel crack la Nigeria ha le carte in regola per dare lezioni agli altri. Squadra in passato votata allo spreco di talento (lontani i tempi del Toro di Kaduna Yekini, di Kanu, Okocha e del mistico santone-stopper Taribo West) la nazionale delle Aquile è tradizionalmente spaccata in clan etnico – religiosi, conflitti in cui l’allenatore straniero di turno (oggi tocca a uno sconosciuto tedesco) ha l’improbo compito di mediare per comporre una formazione. Stavolta ci sono due attaccanti in rampa di lancio dalla Premier come Iwobi e Ihenacho, con l’ala un po’ azzoppata Ahmed Musa e il sempiterno Obi Mikel a centrocampo. Vedremo come andrà a finire.
Costa Rica. Gli altrimenti ignoti (o quasi) Bryan Ruiz e Joel Campbell nel 2014 furono protagonisti della clamorosa vittoria contro gli azzurri guidati da Cesare Prandelli. Oggi in nazionale giocano ancora entrambi, ma il più noto è il portiere del Real Madrid Keylor Navas, mentre a Bologna gioca il difensore Giancarlo Gonzalez. A metà campo il più forte sarebbe Celso Borges, un centrocampista del Deportivo La Coruna con il vizietto del gol (15 nelle ultime 4 stagioni in Liga). Squadra simpatia per antonomasia da Italia 90: allora guidata dal terrificante santone delle squadre spacciate, Bora Milutinovic, superò il primo turno grazie alle prodezze dei vari Conejo, Jara, Medford (visto nel Foggia) e Cayasso.
Polonia. Squadra simpatia per modo di dire, nel senso che si tratta di una outsider di lusso. Ma un terzo della rosa gioca o ha giocato in Italia, quindi perché non tifarli? Il top è il bomberone del Bayern Lewandowski, giocatore che somma tecnica e atletismo a grandi livelli; in Italia abbiamo il supersfigato Arkadiusz Milik, anche lui tanta roba; Szcnzesny è il dopo Buffon nella Juve, Zielinski grande mezzala del Napoli, Linetty sta ben impressionando nella Samp, e c’è pure il mezzo brasiliano Thiago Cionek. Squadra assolutamente fuori dai radar della critica (il che è francamente un bene, se la critica è quella italica) ma piena di buoni giocatori. Partirà in prima fascia nei sorteggi e se le va male si ciuccia un bel girone di ferro. Ma se le va bene…
Svizzera. I nostri algidi vicini, che tanto ci regalano sul fronte dell’evasione fiscale, non hanno grandi nomi come quando schieravano Sforza, Chapuisat, Vogel (e Turkylmaz, e Knup, e Pascolo e Vega…), ma possono sempre mettere tra gli 11 quel dinamitardo di Xerdan Shaqiri, il baby puntero dello Schalke 04 Breel Embolo, la geometria di Granit Xhaka, le sgroppate e i cross di Ricardo Rodriguez e un buon portiere come Roman Burki (e poi Lichtsteiner, Behrami, Dzemaili…). In panca il simpatico poliglotta Vladimir Petkovic, visto in Italia alla guida della Lazio. Grande punto interrogativo della squadra è l’attacco: Embolo al di là del potenziale talento non fa mai gol (ma è un ’97), il titolare potrebbe essere il buon Seferovic (Benfica), già abbastanza un flop in Italia, Germania e Spagna. Insomma, servirebbero un Frei e uno Streller, che però sono fuori dal giro.
Colombia. I cafeteros porteranno in campo la simpatica verve statica del numero 10 del Boca, il trequartista cicciottello Edwin Cardona, e tanto basta a renderli adorabili. Gli occhi saranno tutti per il mai compiutamente sbocciato James Rodriguez (fenomeno a 22 anni, buonissimo giocatore a 26), ma da tenere d’occhio ci sono altri due splendidi panteroni targati Boca Juniors: i fabbri Wilmar Barrios e Frank Fabra, le cui qualità nel campo della potatura si dividono equamente tra centrocampo e difesa. Sarebbe bello venisse ripescato il magico e purtroppo pluri-ricoverato Radamel Falcao Garcia, autentico fenomeno dell’area di rigore; più probabile la presenza dell’indolente ‘diez’ Giovanni Moreno, che dopo aver fatto vedere cose belle nell’Atletico Nacional e nel Racing Avellaneda (meno), sverna illogicamente in Cina da sei anni.
Tunisia. Paese noto in Italia per aver accolto Franco Scoglio, oltre al meno rilevante calcisticamente Bettino Craxi, la Tunisia è una squadra senza campioni, senza talento, ma con tanta voglia di emergere, come si dice sempre in questi casi. Proprio il successivamente defunto Scoglio, nel 2002, portò sotto la lanterna una cinquina di tunisini che non lasciarono grandi tracce in maglia rossoblù: il gattone Chokri el Ouaer in porta, il solido difensore Khaled Badra, i centrocampisti Imed Mhadebi, Raouf Bouzaiene, Hassem Gabsi. L’anno dopo il Genoa retrocesse in C1. Oggi la nazionale punta molto sul talento di Wahbi Khazri, centrocampista del Rennes e sul’ala sinistra Youssef Msakni. Riusciranno a portare a casa almeno un punto?
Perù. Il tatuatissimo Gianluca Lapadula poteva essere al mondiale, se qualche anno fa avesse scelto la nazionale peruviana: invece optò per la nazionalità scarsa tra le due ereditate dai genitori, quella italiana, e così oggi il suo sogno mondiale è stato stroncato. Non sono più i tempi di Teofilo Cubillas, che un Pelè già imbolsito negli anni ’70 indicò come suo erede: ora in attacco si dà da fare Andrè Carrillo del Watford; resiste il già talentuoso 33enne Jefferson Farfan, scalpita sulla trequarti l’alterno Cristian Cueva del Sao Paulo. L’allenatore è l’ex superbomber argentino Gareca, che in panchina ha vinto 4 volte la Primera Division argentina.
Panama. Le inchieste hanno avuto su Panama e il suo calcio lo stesso effetto che hanno sul potenziale elettorale di Berlusconi: un vero e proprio tonico rigenerante. Nello studio Mossack Fonseca probabilmente nascondono anche il talento calcistico di questa nazionale, che non si sa come faccia ad essere ai mondiali. Rottamato da oltre un decennio l’immenso, a queste longitudini, Julio Cesar Dely Valdes, oggi la nazionale panamense appare come una rappresentativa pittoresca e sicuramente destinata all’insuccesso. Il talento più fulgido, Gabriel Arturo Torres Tejada, vivacchia nel Losanna; il difensore centrale Felipe Baloy negli ultimi anni ha giocato in squadre come Monarcas Morelia, Rionegro Aguilas e Tauro. Grandi speranze sono riposte nel 20enne Ismael Diaz, che è alle prime apparizioni nel Deportivo La Coruna dopo un positivo apprendistato nella seconda squadra del Porto.
Marocco. Una delle nazionali sicuramente più tifate in Italia, il Marocco si presenta al mondiale avendo come miglior giocatore quel Medhi Benatia che nella Juve fa veramente fatica a scendere in campo. Ma attenzione, perché questa nazionale schiera un pedatore che ha tutto per essere uno dei migliori numeri dieci europei, tranne il piede destro: Hakim Ziyech, mancino assolutamente devastante nell’Ajax, giocatore che si candida ad essere una delle sorprese del Mondiale. Ed è un bel prospetto anche il trequartista Soufiane Boufal, Southampton, davvero esplosivo nello scatto. Nel giro c’è Yunes Belhanda, grande protagonista della vittoria del Montpellier in Ligue 1 nel 2011 – 2012. Insomma, potrebbero anche non perderle tutte.
Egitto. Momo Salah più dieci, dicono. Squadra ‘antipatia’ di questa fase storica, vista la devastante polemica tra Italia e regime del Cairo per il caso Regeni. Ma se si resta sul campo, tanti piccoli spunti di curiosità. Non dimentichiamo che in Italia ha militato il coreografico ‘Zico delle piramidi’ Hazem Emam (sparito in 11 presenze), oltre al floppissimo Mido (Roma), che a inizio carriera era l’alter ego di Ibrahimovic nell’Ajax. Nel centrocampo dei Faraoni oggi c’è Mohamed Elneny, riserva dell’Arsenal e già vincitore del campionato svizzero con il Basilea. In difesa l’Ufo Hegazy, passato a Firenze senza lasciare segnali decifrabili. L’Egitto partecipò a Italia 90: quella squadra, dove militava i grande difensore centrale Hany Ramzy, non fece grandi cose. In Russia difficilmente vedremo qualcosa di diverso, ma la squadra attuale è decisamente più forte di quella di allora. E la allena l’hombre vertical, Hector Cuper.