Più che la provincia potè il provincialismo. Ovvero la deriva, non necessariamente autocosciente, di chi per sentirsi all’altezza sbrodola davanti a tutto ciò che viene da fuori. In evidente crisi di identità. Un atteggiamento di sudditanza verso l’altro, incondizionato, specie se dalla “tiratura” nazionale. Leggere gli annunci e/o i resoconti giornalistici del Trofeo Tim (alcuni andati in stampa prima dell’epilogo razzista), ci fa ripiombare nel più bieco “provincialismo”. Da cui non siamo mai usciti.
Il titolo più sobrio, al cospetto degli Elkann, dei Prodi e dei Marchionni sugli spalti, di Juve e Milan sul campo, afferiva alla dimensione spaziale. Tanto per avere un’idea della prostrazione reggiana davanti al vippismo da Novella 2000. Orgette di paparazzi post-atomici e olgettine della bassa a prendere d’assalto (si fa per dire) i lussuosi hotel in cui albergavano i predatori della pedata perduta in evidente mancanza di forma, a fare da contorno ad un quadro strapaesano letteralmente agghiacciante.
Nemmeno il residuato orgoglio granata, col cartello scanta-imprenditori, ha ridato dignità a questa serata della reggianità calpestata. Ben venga lo Squinzi-Mapei a riportare a Reggio il calcio di serie A ma non scordiamoci che il circolo vizioso del dio danaro-pallonaro è oggi uno dei più intricati e meno razionali tra le tante follie da delirio che hanno squilibrato nazioni e pianeta. Calciatori sempre più ricchi, società sempre più indebitate, spettatori sempre più poveri.