Regìa: Seth Rogen, Evan Goldberg.
Top star: James Franco.
USA 2014.
Ed eccoci al casus belli dell’incidente cine-diplomatico tra USA e Corea del Nord. Ok, l’affondo in “The interview” c’è ed è coraggioso, perché un conto è attaccare ciò che è stato o mai sarà, e tutt’altra faccenda è prendere in giro un regime vivente. Però, perché? Perché tutte quelle parolacce e quelle situazioni becere? D’accordo, non stiamo parlando di Michael Moore e nemmeno di un documentario, è la “cifra artistica” di Seth Rogen, qui sceneggiatore, regista e attore, si era già vista nel visionario e più divertente “Facciamola finita”, eppure la scelta del registro – siamo una tacca sotto i film di Pierino – toglie molto al risultato finale. Ma sospendiamo un attimo il discorso sulla forma per andare oltre, alla sostanza.
La trama: Seth Rogen e James Franco ottengono un’intervista esclusiva con il leader della Corea del Nord, e la CIA li ingaggia per farlo fuori.
La perplessità – volgarità a parte – sta pure in un finale eccessivo anche per un film grottesco e per una generalizzata caciara che rende instabile l’intera impalcatura. Vuoi far ridere e denunciare allo stesso tempo? Bene, ottimo mostrare la fragilità di un uomo solo al potere, ma non è che puoi tirarla lunga col mito del leader che non espleta le funzioni corporali, impegnato a lavorare com’è (immortale battuta di alto livello affidata a James Franco: “Ma il buco del c… ce l’ha?”), perché poi prevale l’imbarazzo, come quando si parla e si riparla di “topatrappola” (alias moine femminili per ottenere uno scopo) o ci si dovrebbe divertire con fastidiosi nascondigli anali. Franco recita sopra le righe e risulta simpatico come un mal di denti improvviso il giorno di Ferragosto, le battute che dovrebbero strappare una risata sono di questo tipo: “Se è una tigre maschia prendila per le palle, se è una tigre femmina mollale un calcio nella f..a”.
Impossibile, insomma, scollegare la forma dalla sostanza: il risultato è un fumetto che a conti fatti lancia il sasso e toglie la mano. La sensazione è che Rogen regista, trovandosi per le mani una storiella inconsistente, abbia giocato il jolly, ovvero la sostituzione di uno Stato immaginario con la Corea del Nord…
Regìa: Clint Eastwood.
Top star: Bradley Cooper.
USA 2015.
Da un incidente diplomatico USA-Corea del Nord a una polemica interna statunitense: è pro o contro la guerra la storia del super cecchino letale portata sugli schermi da Clint Eastwood? Detto che “American sniper” si lascia guardare e che Bradley “Una notte da leoni” Cooper interpreta un personaggio patriota con la p maiuscola, il film racconta la vita, le gesta e i problemi del vero cecchino, come certificano le immagini sui titoli di coda prese dalla vita reale di Chris Kyle. Ma è impossibile non pensare allo splendido e senza alcun dubbio antibellico “Hurt locker” di Kathryn Bigelow, premio Oscar nel 2010. Il tema è lo stesso, il focus è la dipendenza da guerra che divora la ragione e la vita famigliare, con la differenza che in “American sniper” l’enfasi con cui si raccontano i raid o la caccia al cecchino cattivo…mah…nonostante le dichiarazioni “pacifiste” di Clint Eastwood tanto anti-war non sembrano… Fermo restando che nulla vieta di fare un film sulla vita di un cecchino, senza lanciare a tutti i costi un messaggio.