Castelnuovo Berardenga – Il paese partecipa, scende in piazza, racconta la “sua” storia. In Toscana succede. Capofila Monticchiello col suo Teatro Povero. Una gloria nazionale. E per fare un altro nome andiamo a Anghiari con la sua Tovaglia a quadri. Ultimo scende in campo San Gusmé, zona pregiata Chianti Nero, comune di Castelnuovo Berardenga, sito di Villa Chigi, curve senesi di paesaggio di arcaica bellezza e salutare armonia.
Ambiente lavorato dall’uomo, toccato dalla grazia di dio, dove il tempo, la natura ogni tanto cambia le regole. Oggi la siccità ieri il freddo. Fu il febbraio 1956, l’anno della Grande Gelata. Che bruciò viti e olivi, distrusse i raccolti e uccise gli animali, e gettò sul lastrico decine di famiglie. Che fare? Nel BelPaese c’era aria di dopoguerra, si faceva la fame, il profumo di boom ancora impercettibile (la mezzadria sarebbe stata abolita nel 1964). Le opportunità della nuova Europa andavano colte.
Il governo di Roma si fece furbo. Le miniere del Belgio restituivano carbone in cambio di braccia, le fabbriche della Germania promettevano salari (e rimesse) in cambio di manodopera. A Wolfsburg c’era (e continua a esserci, insediamento avveniristico) la Volkswagen. Da qui, che il futuro era perduto, si mossero in tanti. Anche negli anni a venire quando i 60 gettavano utopie, i Beatles rompevano gli argini e Celentano cantava Il ragazzo della via Gluck.
Erano i nostri semplicemente “e/migranti”. Li chiamarono “lavoratori ospiti”. Le buone maniere, l’ipocrisia dell’accoglienza, siete i benvenuti, erano salve. Meno le condizioni di vita. Che, al di là del “normale” sfruttamento di classe, si rivelavano difficili. Complicate. Ai limiti della sopravvivenza civile. Tolleranza zero? Era la convivenza a restare sospetta. Noi “mangiatori di spaghetti”, loro “mangiatori di patate”. Italiani brava gente? Più italiani straccioni, che al massimo sapevano cantare (l’arma della seduzione ma guai a toccare le donne degli altri) e che quando passavano in gregge era meglio tapparsi il naso.
Germania pallida madre? Non ancora. Germania cuore d’Europa e di nuovo “padrona”. La storia di questo esodo sotto forma di calamità naturale, partendo dal microcosmo San Gusmé per diventare esempio e gigantografia nazionale, ce la racconta uno spettacolo di popolo. Di preziosa collaborazione italo germanica (St. Pauli Theater di Amburgo e Teatro Alfieri).
La gente del paese accorsa in piazza Castelli, scenografico salottino incastonato fra le case, dove ieri ha debuttato La grande gelata, partitura corale istruita da e sul valore della memoria, che già aveva prodotto, due stagioni fa, Albicocche rosse, ferite non rimarginate, il massacro qui compiuto dai soldati della Wermacht in ritirata, nel 1944.
Il progetto, firmato da Matteo Marsan, Dania Hohmann, Ulrich Waller, partito a due voci, le due sorelle (Daniela Morozzi e Adriana Altarss, commoventi) che scoprono, dopo la sua morte, di avere lo stesso padre, lavoratore e genitore clandestino in bilico fra le due “patrie”, ha attraversato con successo la Germania (da Lipsia a Amburgo), prima di tornare a casa. E diventare, grazie anche alla Regione toscana, manifesto di un paese ieri colpito dalla crisi, il freddo, le strade bloccate dalla neve, gli aerei che lanciavano viveri ai paesi isolati, e di un Paese oggi sollecitato dal “fenomeno” delle nuove migrazioni, i barconi, il Mediterraneo cimitero senza fondo, gli scafisti, le guerre oltre il mare di Sicilia.
Non ci sono le valigie di cartone tenute dallo spago, non ci sono i treni della speranza. C’è una generazione che si mette in fuga. L’incognito ieri come oggi batte le ore. Le persone che vediamo, le voci che ascoltiamo sono “vere”, i fatti ricostruiti sui racconti e le testimonianze di chi questo viaggio l’ha percorso. Questo passo l’ha fatto. Questa alternanza, chiamatele pure “doppia vita”, l’ha vissuta. Voci lontane sempre presenti.
Con Gianni Ferreri, Sergio Pierattini, Stefano Santomauro, Jorg Kleemann, George Meyer-Goll, Peter Franke (tra i primi a rappresentare Dario Fo in Germania), più i bruscellanti e un ensemble musicale composto da Mirco Mariottini (clarinetti), Sergio Corbini (piano), Giovanni Miatto (basso), Carmine Casciello (batteria) e Silvia Tognazzi che canta Amara terra mia e Marina (ti voglio al più presto sposar).
Schietto e generoso, La grande gelata alla fine insegna e comunica. Diverte e riflette. E abbraccia tutti sotto l’ombrello di Volare. Nel blu dipinto di blu. Un sogno?
Domani ultima replica. Info 0577 351345.