Teatro: Elenit, l’insostenibile precarietà della vita quotidiana

Firenze – Un nome pesante da portare Euripides, soprattutto se si è un artista del teatro d’avanguardia che desidera estenuare i linguaggi antichi e inventarne di nuovi. La grande presenza di pubblico e il lungo applauso conclusivo dimostrano che Euripide Laskaridis, regista e performer ateniese fondatore della compagnia Osmosis  Performing Arts Company, è sulla buona strada. Il suo ultimo lavoro, Elenit, è di scena alla Pergola con la platea strapiena ed è un piacere rivedere il teatro stracolmo di spettatori allegri e loquaci, attenti ed entusiasti (seppure mascherati) dopo tanti mesi di austera distanza. Non ci eravamo ancora abituati e lo spettacolo dal vivo torna a essere un felice rito culturale cittadino. Merito anche di Laskaridis e della coproduzione del Théâtre de la Ville di Parigi e del Teatro della Pergola con Onassis Stegi che ha prodotto l’atto unico.

Difficile inserire Elenit in un genere o dargli una qualche etichetta significativa. Alla ricerca di un linguaggio innovativo, l’artista utilizza con la massima disinvoltura i linguaggi delle arti visive e performative: recitazione, danza e discodance, opera, musical, clownerie, teatro classico greco, film, usando strumenti, attrezzi, elementi scenografici di ogni genere, dall’elettronica alla Nike di Samotracia.

Del resto il concetto dello spettacolo imponeva questa contaminazione senza limiti.  Elenit esprime l’assoluta impossibilità di controllare gli eventi umani, di razionalizzare l’esistenza per darle un senso, prevenirne gli imprevisti, gestire l’angoscia dell’ignoto. E questo vale non solo per i grandi avvenimenti collettivi, più o meno catastrofici, ma soprattutto nell’ordinaria vita quotidiana, continuamente interrotta da telefonate dai contenuti destabilizzanti, dall’assedio di omini, che vogliono diventare tutti uguali in modo rassicurante, e che hanno il compito di compiere lavori e attività varie che invadono il tuo universo senza alcun rispetto né preavviso.

E’ inutile che tu vada alla ricerca di regole, spiegazioni, conoscenze, come fa il personaggio femminile interpretato da Laskaridis in versione maxi e mignon, che alla fine muore travolto dal caos folle e violento. La sua agonia che non ha mai fine (con stop e go continui segnalati agli spettatori perché si astengano dall’applaudire fino a che la scena non sia finita, un po’ come certi infiniti finali d’opera) è uno dei momenti più divertenti di Elenit. Come divertenti lo sono state le prime scene grazie alle continue trovate clownesche accompagnate dalle risate del pubblico.

Nel titolo della performance è espresso chiaramente il concept artistico. Elenit, contrazione di Elena (personaggio simbolo della classicità) e Eternit, materiale protagonista della rinascita del dopoguerra, malleabile e flessibile, ma contenente il veleno dell’amianto, dunque amico e nemico, protagonista anche lui dell’evento negativo e imprevedibile che costringe a cambiare abitudini e strumenti.

Gli imprevisti proposti da Laskaridis sono di scala sempre più grande fino ai limiti dell’umana sopportazione. Si dall’arrivo di un dinosauro che invano si tenta di integrare nel paesaggio umano, all’arrivo dell’extraterrestre fatto di luci verdi e rosse, passando dal rapinatore al collezionista di ossa. C’è anche la citazione della pandemia con un rapido controllo della temperatura, così come si ode il rimbombare intollerabile delle armi da guerra.

Uno spettacolo ricco e interessante, dunque, che risponde alle attese che inevitabilmente, dice Laskaridis, accompagnano il lavoro di un artista di teatro greco: “Da artisti veniamo etichettati come greci e abbiano di conseguenza sulle spalle tutto il peso della nostra cultura, della filosofia, dell’accademia, di autori come Socrate o Platone. Noi artisti greci tentiamo di vivere all’altezza delle aspettative nei nostri confronti e del nostro patrimonio storico-culturale “.

Foto: ELENIT (Julian Mommert)

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