Regìa: Quentin Tarantino
Top star: Samuel L. Jackson, Kurt Russel, Jennifer Jason Leigh, Tim Roth
USA 2015
Vai a capire perché non è entrato nel lotto dei candidati all’Oscar, tra i quali figuravano invece “capolavori” destinati al dimenticatoio tipo Spotlight, The Martian, Mad Max e compagnia bella. Per essere subito chiari: “The Hateful Eight” non è un capolavoro – ed è un “semplice” esercizio di stile – ma è un film di quasi tre ore che fa il suo sporco lavoro: ti tiene lì per vedere come va a finire. Di nuovo c’è poco, senza scomodare Agatha Christie e Dieci Piccoli Indiani si può tranquillamente rimanere nel passato di Tarantino, da Le Iene per l’idea di base a Jackie Brown, per la tecnica di una narrazione riproposta da diverse prospettive. C’è pure il cambio di genere già visto in “Dal tramonto all’alba”, in cui la prima parte da road movie lasciava spazio a una seconda horror; in questo caso prima parte lenta e western, in cui si parla e filosofeggia, poi via alla seconda, dove finalmente si sanguina e si muore. Insomma, Hateful è un auto-plagio, ben fatto, con significative variazioni sul tema tipo i maltrattamenti alla donna-fuorilegge o un Jackson “hard” sulla neve. Ma qualcosa ci sentiamo di obiettare sul cast: perché non puntare esclusivamente su top star, visto il ridotto numero di attori in scena? Benissimo Russel, Jackson e Leigh, bene Roth e il più anziano della compagnia, Bruce Dern. Malissimo un sempre più imbolsito Michael Madsen, senza infamia e senza lode gli altri, sprecato per poche scene Channing Tatum.
Regìa: Woody Allen
Top star: Joaquin Phoenix, Emma Stone
USA 2015
Potrà mai essere brutto un film di Allen – oltretutto con due miti come Joaquin Phoenix ed Emma Stone – che parla di un professore di filosofia donnaiolo e depresso? Dai, su, è un rigore a porta vuota. Un paio di citazioni volanti: “Molta filosofia è solo masturbazione mentale”, “Perché hai scelto filosofia? – chiede il prof alla studentessa invaghita di lui – Se il tuo scopo è capirci qualcosa in tutte queste stronzate…scordatelo”. Però se abbiamo parlato di auto-plagio ben fatto per Tarantino, beh, qui la cosa è ancora più evidente. Delitto&Dostoevskij, Dostoevskij&Delitto: da Match Point in avanti Allen è andato spesso a ravanare lì. Ma se il risultato è gradevole, bene così.
Regìa: Carlo Verdone
Top star de noantri: Carlo Verdone, Antonio Albanese
Italia 2016
Gridare al miracolo ci pare eccessivo. Così ci limitiamo a parlare di un più prudente Verdone ritrovato, dopo gli ultimi sconcertanti “Sotto una buona stella” e “Posti in piedi in Paradiso”. Secondo Tonino – l’ultimo fenomeno entrato a far parte dei sedicenti intenditori del Bar De Curtis – erano l’evoluzione di un comico maturo, secondo noi erano semplicemente brutti film, poco ispirati. Il duo Verdone-Albanese, rispettivamente detective cialtrone e attore nevrotico, funziona, e la storia non è un semplice insieme di gag. Bello il finale, in puro spirito commedia all’italiana degli anni d’oro. Solo una tirata d’orecchi al buon Carlo: in un’intervista su RadioDeejay aveva parlato di utilizzo delle parolacce al minimo sindacale, una forse due in tutto il film. Noi tra caXXo, mXXda e vaffa siamo arrivati a 50, poi abbiamo smesso di contarli. Vero che ormai le parolacce sono come i social, sembra di non poterne fare a meno. Ma non è così, garantito.