Firenze – Ma dove sono i tifosi che l’anno scorso, di questi tempi, contestavano la squadra viola per essere stata eliminata da una semifinale di Europa League? Dove ha portato il vento quei fischi che regolarmente scandivano le prestazioni di Ilicic e della squadra e che quest’anno si sentono appena, svogliati e sfiatati? A me sembra di vivere un brutto sogno.
Volti sorridenti e soddisfatti che escono dalla riunione decisiva al vertice in società, fieri della riconferma di Sousa, contenti della compiacenza con cui hanno concesso al tecnico quello che chiedeva (e cioè di avere in Cognigni il solo interlocutore!), e contenti di tutto: del gioco, della qualificazione in Europa, di avere il portafoglio pieno e chissà di che altro.
Resta un solo dubbio marginale, se far tornare Corvino, senz’altro più rassicurante per l’obbedienza e per la bravura a condurre campagne acquisti più a vendere che a comprare. Ma ci si penserà. Ora festeggiamo! Nessuno che reciti un mea culpa o che si renda conto di aver appena buttato un’occasione più unica che rara per giocarsi un campionato da Champions. Nessuno che si renda conto che Sousa ha sperperato un patrimonio, di gioco e, ahimè, di giocatori. Suarez e Rossi sono stati sperperati in anteprima.
Gli ci è voluto di più a bruciare Kalinic, Badelj e Ilicic (significativa la sua vendetta a fine partita, e a fine carriera viola, contro il pubblico ieri, quando ha rifiutato la maglia a un tifoso). Senza contare che Roncaglia e Pasqual se ne andranno in pensione, e che c’è da scommettere che perderemo anche Mati, già accantonato, svalutato e, quando impiegato, spregiato nelle sue attitudini naturali. A proposito delle quali, ci sarebbe da dire anche qualcosa su Bernardeschi.
Un gioiello che ci siamo affannati a definire tra Baggio e Antognoni, e che ha passato l’anno a tappare i buchi (ha giocato anche al posto di Alonso!), quasi mai nella sua posizione, quasi sempre chiamato a giocare col piede sbagliato (eppure Conte, in quella partita e mezzo in cui lo ha impiegato in Nazionale, sembrava che scongiurasse la Fiorentina a farlo giocare come a lui serviva e nell’unico modo in cui il Berna sa giocare!).
Nel bilancio di questa annata che finisce a sorrisi, a pacche complici sulle spalle e a battutine polemiche e irrisorie contro i “rosicatori”, bisogna metterci anche il frutto del mercato di gennaio. Se ne andranno tutti (almeno si spera), da Tino Costa a Kone a Benalouane (sempreché sia arrivato), e verosimilmente se ne andrà anche l’inutile Tello. Insieme a loro se ne andranno il “Kuba”, oggetto diventato misterioso (a dispetto delle sue belle prestazioni in Nazionale) forse perché reo di non avere la velocità di Bolt; ed è molto probabile che se ne vada anche Alonso, dato che il nome che più si fa in anticipo sul mercato è quello di Mario Rui. E pensate che c’è anche il rischio che tocchi alla Viola di dover sistemare un Marione Gomez di ritorno!
Qualcuno, all’inizio dell’anno, aveva però fatto osservare come la Fiorentina, al di là dei risultati, avesse acquisito una personalità internazionale e una autorevolezza e una convinzione rare (ricordate le giaculatorie da predicatore calvinista di Sousa sul “credere”, sul “lavorare”?). Non saprei come commentare oggi senza imprecare e offendere qualcuno. Quella personalità ce l’aveva una squadra che alla fine della scorsa annata era ottava assoluta nel ranking europeo per i risultati complessivi, dietro solo alla Juve tra le italiane.
Quell’autorevolezza e quell’autostima ce l’aveva una squadra che, alla fine di un anno massacrante, in cui aveva giocato (dimezzata nella rosa!) più partite di tutte le altre squadre italiane, finiva il campionato orgogliosamente con cinque vittorie in cinque partite, superando il Napoli sul filo di lana, e con gli scudi davvero ben alti, insieme al blasone e all’icona del suo tecnico! Ma quella squadra andava contestata, questa va incoraggiata e addirittura apprezzata!
E lo volete sapere perché Sousa resta (se resta, ma spero di svegliarmi presto da questo brutto sogno!) a dispetto del suo clamoroso fallimento? Perché ora non lo vuole più nessuno. Perché il suo gioco a correre a perdifiato, a allargare, a allungare per creare gli spazi, a pressare alto (con Borja Valero!), tutto velocità fine a se stessa, uno contro uno, e tutto schemi inemendabili, tutto fatica (vana, perché in Italia gli spazi che lui cerca non glieli dà nessuno) è un gioco perdente non solo da noi, ma, come ha appena mostrato il Leicester di Ranieri, anche nella nba d’Inghilterra.
E sono proprio i nababbi inglesi, stanchi di spendere 65 milioni per un’ala come Stirling e per quel gioco che non vince mai nulla in Europa (e ora neppure in casa), che vengono a cercare tecnici italiani o tutt’al più tedeschi (vedi Klopp). Sousa ha passato ostinatamente un anno a convertirci a un gioco “europeo”, e ora si accorge che nel frattempo si sono convertiti gli europei al calcio italiano! Meglio mostrarsi contento di rimanere…