Il Festival del Quartetto d’archi reggiano è terminato domenica 12 giugno.
Proprio per la serata conclusiva un piccolo cambiamento: il Quartetto Casals (spagnolo), causa indisposizione, cede il passo al Quartetto Arcadia che comunque ha presentato un programma del tutto simile.
Che il Festiva sia andato bene, lo si è colto almeno un paio di elementi. Primo l’affluenza, che rimane in linea con la sala proposta all’esecuzione (leggesi: la Cavallerizza è piena, si sta un po’ fitti, fa un po’ caldo, ma in fondo è un buon segno e quindi va bene così).
In secondo luogo devo dire che trovo commovente l’entusiasmo del pubblico, che con qualsiasi repertorio proposto si dimostra sempre enormemente partecipe e grato ai musicisti, si pela le mani in applausi e si sgola di esortazioni e commenti d’approvazione.
Io personalmente ho trovato davvero splendida l’esecuzione del Quartetto Pavel Haas di mercoledì 8 giugno.
Ammetto che partivo ben disposta dal repertorio però, per esempio, il brano di Martinu non l’avevo mai sentito e quindi non sapevo minimamente a cosa sarei andata incontro. Un bel muro, in effetti, per questo autore pochissimo conosciuto ed eseguito. Scritto negli anni Venti, sotto l’influsso di una permanenza parigina: jazz, avanguardie, novità, il Quartetto n. 3 H.183 vuole gareggiare in modernità con la città in cui è scritto. E sebbene musicalmente impervio non manca di momenti toccanti, che lo rendono un brano sperimentale ma alla portata.
Dvorak, il n.12 “Americano” lo scrisse appunto in America e di quella terra esotica come nella notissima Sinfonia “Dal nuovo mondo” prende più ancora che gli elementi folkloristici (che ci sono, ad ogni modo) lo slancio vitale che fa di questo quartetto un’esperienza commovente e trascinante.
Ma più di tutti è stato Sostakovic con il suo Quintetto n.57, per il quale si è aggiunto il pianista Alexander Lonquich, a valere l’attesa.
L’esecuzione, sentita e misurata al punto giusto, senza slanci eccessivi ma curata malgrado qualche minuscola sbavatura ha contribuito all’ovazione finale del pubblico.
Scritta negli anni Quaranta, in una specie di “ritorno all’ordine” del compositore che mette un po’ da parte la ricerca sperimentale, questo brano di musica unisce con estrema intelligenza la capacità di rivolgersi al pubblico con un linguaggio colto: testa e pancia insieme. E il risultato è dei migliori.
Giovedì 9 giugno si sono succeduti David McCarrol, Suyeon kang, Adrien la Marca, Julia Hagen e Clemens Hagen con una formazione appositamente creata per il Festival.
Musicisti molto giovani (a parte il capostipite Clemens Hagen) e di certo già ambiziosi e capaci, che hanno saputo dare un’interpretazione di Mozart e Schubert perfetta.
Forse un tantinello noiosa (ma, per carità, avercene!).