Firenze – “Solitude“, solitudine, è una parola chiave nel pensiero e nella poetica di Tahar Ben Jelloun. Lo scrittore, saggista e poeta marocchino è venuto a Firenze a presentare il suo ultimo libro “Il terrorismo spiegata a mia figlia” (la Nave di Teseo), al salone del libro “Firenze Libro Aperto”.
Solitudine nelle immense banlieue parigine che ha frequentato poco dopo il suo arrivo in Francia, nel primo lavoro di psichiatra sociale a sostegno degli immigrati ospedalizzati. La sua esperienza è diventata poi un saggio e un romanzo
Solitudine dell’intellettuale di cultura musulmana descritta in una bellissima testimonianza pubblicata in un libro riflessione di intellettuali marocchini dopo gli attentati del 7 e dell’11 gennaio 2015, l’attacco a Charlie Hebdo. L’intellettuale di cultura musulmana che vive la frattura fra la sua libertà di coscienza di cui gode in Francia e l’appartenenza alla Oumma Islamyia che non gli permette di esercitare questa libertà. “Tutto ciò che riguarda l’Islam è diventato un problema tragico”, scrive Tahar.
Solitudine dei giovani immigrati esposti alle manipolazioni comunicative di Daesh rese ancora più efficaci dagli strumenti multimediali, dai social media.
Solitudine soprattutto dei ragazzi, bombardati quotidianamente da immagini di morte e distruzione, di stragi di innocenti, alle cui parole bisogna dare una risposta. I loro occhi chiedono una spiegazione chiara, parole che li aiutino ad accettare il reale con tutto ciò questo ha di imprevisto e insopportabile. “Papà sono terrorizzata”, così comincia il dialogo fra il padre e la figlia che ha visto la cuginetta morire in attentato in un ristorante italiano in Africa.
Da molto tempo il suo impegno parte da qui dal dare risposte sincere e semplici ai ragazzi, ai nostri figli. Nel 1997 scrisse il “Razzismo spiegato a mia figlia” che anche in Italia è diventato un testo pedagogico fondamentale, ancora utilizzato nelle scuole. Quattro anni dopo pubblicò “l’Islam spiegato ai nostri figli” e oggi ne “il terrorismo spiegato ai nostri figli” prosegue il suo sforzo per raccontare la realtà al di là dei proclami e delle falsità che ammorbano persino l’aria che respiriamo .
“Fu mio padre – scrive Tahar – che mi liberò dalle paure. Ero commosso e stupito dalla bellezze del Corano e nello stesso tempo confuso leggendo certi versetti con le punizioni riservate ai non credenti. Tu non devi rendere conto a nessuno sulla terra – disse – tu sei responsabile dei tuoi atti di fronte a Dio. Se tu fai il male ti ritroverai il male, se fai il bene ti ritroverai il bene”.
La sua riflessione sul terrorismo che cerca giustificazioni nella religione parte da lontano, dall’occupazione sovietica dell’Afghanistan del 1979, quando sorse una forte resistenza nazionale che si opponeva anche all’ateismo professato dagli occupanti. I talebani sono la prima espressione di questa lotta che trovava le sue ragioni anche nella difesa della propria identità religiosa. Dai talebani, ad Al Qaeda fino ad Al Baghdadi autoproclamatosi Califfo dello stato islamico che ha approfittato degli errori dell’Occidente e il comportamento ambiguo di Arabia Saudita e Qatar per mettere in atto il suo progetto ambizioso.
E’ importante non perdere mai di vista il contesto storico. Coloro che dicono che siamo “in guerra contro l’Islam” citano il versetto del Corano versetto 90: “Uccidete gli infedeli dove li trovate. Catturateli, soggiogateli e state all’erta” o la sura versetto 74 “A quello che combatte sulla via di Dio, sia che venga ucciso sia che ne risulti vittorioso noi riserviamo un’immensa ricompensa”. Al che coloro che negano il carattere violento dell’Islam rispondono con un altro versetto: “Colui che uccide un innocente uccide l’umanità intera (sura 5, versetto 32) .
“I primi versetti si inscrivono in un tempo e in contesto di guerra, la guerra che dei non credenti conducevano contro un nuovo profeta – scrive Tahar – e i jiahidisti sono persuasi che la loro battaglia sia tanto legittima quanto quella nel VII secolo, quando il Profeta era stato costretto a emigrare a Medina per sfuggire agli “infedeli” che volevano la sua morte”.
Attraverso queste mistificazioni riescono a trasformare l’istinto della vita dei giovani che sono nati e cresciuti in Europa ma che “non considerano l’Europa la loro patria, non hanno sviluppato un senso di appartenenza, perché sono stati abbandonati in ambienti patogeni senza alcuna prospettiva”, in “istinto di morte”: uccidere gli altri e se stessi.
Che fare dunque per combattere contro il terrorismo. Tahar parla di un “grande progetto educativo” sul lungo periodo. “Scommettiamo sull’educazione e sulla cultura – questa la sua ultima risposta alla figlia – e potremo sperare di veder emergere una generazione di giovani liberati da queste illusioni, una generazione in cui la religione, deviata dal suo senso e dalla sua vocazione originari, non è più l’alibi per accettare qualsiasi cosa. Più che mai: educazione, lavoro quotidiano nelle scuole, nelle famiglie, nei media, ovunque si possano riparare gli esseri viventi rovinati da tanto odio e da tante menzogne”.