Si chiama Cosetta, ha 54 anni, è sola. Un figlio ormai grande e indipendente, da circa 6 anni lavora tramite le cooperative. Da due anni, svolge attività di portierato all’ufficio casa.
Fino al 31 agosto, con i circa 800 euro mensili che riusciva a guadagnare, pur stringendo la cinghia, sbarcava il lunario.
Ora, in seguito alla riduzione di ore che il Comune ha voluto attuare per tagliare i costi, Cosetta è passata da 33 ore settimanali a 20: venerdì il servizio non c’è più per niente, due pomeriggi sono coperti da qualcun altro.
Di fatto, il lavoro di Cosetta si è ridotto a 4-5 ore al mattino, dal lunedì al giovedì. Il che significa, in soldoni, che quell’equilibrio precario che riusciva a mantenere risparmiando e gestendo con accortezza il magro budget mensile, è saltato. Cosetta non ce la fa più.
Eppure, il servizio che svolge è di indubbia utilità: per l’utenza, che ha un prezioso riferimento per le informazioni, per gli impiegati, che si avvalgono di un prezioso “filtro”.
“I tagli possono essere giusti – dice Cosetta – ma perché si deve sempre iniziare dai più piccoli?”.
Vale a dire: perché la mannaia deve decapitare chi guadagna 800 euro al mese?
Da considerare anche la professionalità di questi operatori, come spiega con orgoglio Cosetta: “Abbiamo certi obblighi di lavoro: una divisa che deve essere sempre in ordine, alcune norme di comportamento, un tesserino di riconoscimento. Questo per evidenziare che svolgiamo un’attività qualificata, non improvvisata”.
Cosa vorrebbe Cosetta?
“Semplicemente, che quelle 33 ore che a me servono per far quadrare i conti e sopravvivere con un minimo di dignità, mi siano rese. Tutto sommato, non chiedo granchè … o no?”.
Stefania Valbonesi