Tabucchi e Vecchiano: un paese come categoria dello spirito

Vecchiano (Pisa) – “Chi testimonia per il testimone?, Paul Celan/È difficile contraddire i morti, Ferruccio”. Antonio Tabucchi è sempre stato così: accanto alla grande letteratura, ai grandi pensatori e ai grandi poeti non ha mai dimenticato gli uomini e le donne della sua infanzia, della sua Vecchiano (paese della provincia di Pisa in cui nacque il 23 settembre del 1943). Come in quel frontespizio del libro Tristano muore, accanto al grande poeta rumeno Celan, troviamo Ferruccio, noto, colorito e saggio personaggio vecchianese che fa capolino anche dentro il romanzo: “Diceva Ferruccio che i sogni non si devono raccontare perché è come dare l’anima”. Dalla sua opera, dalle sue interviste, dalle parole che scambiava con gli amici si deduceva che, pur viaggiando per il mondo, si portava sempre dentro il suo paese: una piazza, le colline, il lago, il mare. E non c’è da stupirsi se io, vecchianese, anzi, noi, vecchianesi, ci siamo costantemente sentiti un po’ dentro le sue valige. (foto: Tabucchi parla durante un evento organizzato a Vecchiano)

tabucchi interviene evento vecchianese

Non lo si vedeva molto in giro, ogni tanto, mentre si dirigeva dalla zia, ostetrica le cui mani hanno accolto, per prime, nel mondo, tutti i bambini di Vecchiano (ha fatto nascere anche me), e qualche volta in piazza dove la madre aveva la casa, quella piazza che fu protagonista del suo primo romanzo, Piazza d’Italia (1975), popolato di nomi lontani, vissuti sulle paludi, a due passi dal mare, dal lago in quel periodo storico che va dall’Unità alla liberazione; nomi che fanno immaginare storie solo ad elencarli: Garibaldo, Quarto, Volturno, la Zelmira, l’Esterina, Melchiorre, Gavure, l’Asmara, e poi il cinema teatro Splendor dove si facevano i comizi per la “popolazione” che accorreva in massa fino a quelle finestre sulla piazza che hanno visto il passato, vedono ancora il presente e predicono il futuro. Lo si poteva incrociare più spesso dal Maglia, alla Casa del Popolo, dove un oste sui generis che ti dava da mangiare solo quello che voleva lui, e non potevi nemmeno ribattere o contraddire perché altrimenti partiva un piatto o un bicchiere contro il muro, lo faceva sentire nella cucina di casa. Lì, ad assaggiare il cibo semplice, a bere vino genuino e ad ascoltare le battute dell’oste sulle due donzelle/cameriere attempate, Tabucchi amava portare i suoi amici: primi su tutti Gino Paoli, Marcello Mastroianni…. (foto: piazza di Vecchiano)

Vecchiano piazza

Per me, giovane universitaria vecchianese, Tabucchi era una lucina accesa, la sera. Abito a 20/30 passi dalla sua casa e, quando rientravo con il buio, passavo davanti al suo cancello. Ogni volta gli occhi si soffermavano verso quella lume acceso e non potevo fare a meno di pensare: chissà se sta scrivendo, pensando o accartocciando. Così, per me, cominciava l’attesa (e la curiosità) del suo prossimo libro. Oggi, continuo a tornare a casa, la sera, ma quella lucina non la vedo più e, in quel tratto di strada, il buio è più “strinto” perché so di non poter più aspettare e correre all’appuntamento con Antonio Tabucchi, in libreria.

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