Sventura Addio grigliate “mondiali”

“Quel sogno che comincia da bambini e che ti porta sempre più lontano non è una favola e dagli spogliatoi escono i ragazzi e siamo noi”. Avevo 14 anni quando “Un’estate italiana”, l’inno dei Mondiali di Italia ‘90, riecheggiava in ogni luogo. Sono stati i miei primi Mondiali vissuti con consapevolezza critica, rispetto a quel timido e lontano ricordo di Italia Francia 0 a 2 del 1986 vissuto, come da tradizione dell’epoca, all’hotel Angela di Misano Adriatico.
È proprio da quell’estate del 1990, acquisendo la prima libertà di adolescente, che il Mondiale ogni 4 anni, è diventato un rito che si è trasformato un appuntamento fisso con gli amici: un momento di ritrovo e di incontro davanti a una pizza e alla birra, una grigliata in giardino, in cui le lacrime di gioia e di amarezza accompagnano le partite fino all’ultimo calcio di rigore, e ogni vittoria viene salutata come se fossimo stati in campo anche noi al loro fianco.
Aspetti quell’estate ogni quattro anni con ansia, perché è un evento sì sportivo, ma un evento sportivo condiviso con la tua cerchia ristretta di amici dell’infanzia, quelli con i quali durante l’anno invece sei in competizione con la tua squadra di club. Da ieri sera ci è stato sottratto questo momento. Per questo il primo sentimento che emerge, dopo la sconfitta di ieri, è di profonda amarezza, per non potere contare, la prossima estate, su tali momenti vissuti insieme. Forse per chi legge non risulta interessante conoscere questo mio sentimento, poiché ciò che conta è la competizione sportiva, oppure sono proprio disinteressati. Ma sono sicuro che in tanti oggi sono attraversati da questo sentimento irrazionale, perché in fondo in tanti “siamo fatti così”, letteralmente travolti da questa passione, tanto da far diventare il calcio il primo sport nazionale, da vivere insieme con gli amici, in bar o in una piazza.
Perché non c’è evento, al pari del mondiale di calcio, nel nostro Paese che accomuna tutta l’Italia calcistica e non solo sotto un’unica bandiera, attraverso un’immagine di unità che difficilmente questo Paese ritrova nella sua quotidianità, a causa della forte frammentazione, delle logiche politiche, giudizi di parte e scarso attaccamento alla nazione.
A qualche ora di distanza da Italia-Svezia, il sentimento lascia lo spazio alla ragione e constati il fallimento del sistema calcio nel nostro Paese. Io non uso le parole tragedia e disastro che si adattano a situazioni diverse, ma sottolineo il fallimento del calcio italiano che in questi anni, a partire dai suoi massimi vertici, il Presidente della Federazione Tavecchio in primis, non è stato capace di invertire la tendenza. Un trend che, nello sport con più atleti e appassionati, non ci vede più competitivi a livello internazionale dai Mondiali del 2006, fatta esclusione per qualche sporadica presenza delle nostre squadre di club come Inter e Juventus.
Un fallimento che affonda le sue radici, secondo la mia modesta analisi, dall’incapacità di riforma del sistema calcistico italiano nei suoi tanti punti critici: l’impossibilità di gestire un campionato con venti squadre; l’incapacità dei club di individuare il Presidente di Lega Serie A e di Lega Serie B, tanto da arrivare al commissariamento di entrambe; l’assenza di investimenti nella riqualificazione dell’impiantistica sportiva e nei settori giovanili. E infine, ma non da ultimi, la gestione tecnica della squadra di mister Ventura e la chiusura dei club nel riconoscere i giusti spazi alla Nazionale per gli allenamenti e gli stages. Quest’ultimo è uno dei motivi per cui un allenatore vincente come Antonio Conte, ha deciso di lasciare la guida della squadra italiana.
Ma in questo fallimento vi è qualcosa di più profondo che deve interrogare tutti noi, che portiamo una responsabilità dirigente e istituzionale. E ciò sta nella necessità di educare le giovani generazioni -e ne parlo a ragion veduta- all’impegno, alla fatica, al sacrificio. Un’educazione che troppo spesso non affida ai nostri ragazzi i giusti anticorpi per affrontare le difficoltà della vita quotidiana. Dove sono i giovani talenti italiani del calcio? Al primo miraggio di un possibile ingaggio, sono impegnati a seguire il successo, i soldi facili, la gloria, rovesciando la scala dei valori che le generazioni che ci hanno preceduto con fatica dal dopoguerra a oggi, hanno costruito. Questa è una nostra responsabilità, di tutti noi.
In una parola, sono impegnati a dissipare il proprio talento (quando ne hanno uno e non si tratta di una precoce illusione), dimenticando che dietro ogni grande campione c’è una vita di coraggio, impegno e sacrificio. E le lacrime e la sofferenza nel volto di Gigi Buffon, ieri sera davanti al grande schermo al novantesimo, ce lo ricordano e dovrebbero essere di insegnamento.
Da una sconfitta ci si può sempre rialzare, se però siamo capaci di interpretarne fino in fondo le ragioni, e non se ci si ferma in superficie, ritenendo che con le dimissioni dei due imputati maggiori, Ventura e Tavecchio (di certo responsabili), la questione sia risolta.
Sicuramente nessuno può stare a guardare in questa storia e tutti dobbiamo fare la nostra parte: e certamente, troverò altri motivi per incontrare i miei amici per una grigliata estiva, seppure, amaramente, saranno serate senza l’immancabile compagnia dell’Italia ai Mondiali.

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