C’è chi sostiene che la guerra rappresenti il male assoluto, ma che qualche volta una guerra preventiva possa essere un male minore. Cosi’ c’è chi sostiene che un attacco preventivo da parte israeliana contro la centrale atomica in costruzione in Iran, possa essere meglio che lasciare agli Iraniani la possibilità di sviluppare una centrale per la produzione di energia nucleare a uso civile (militare?). Tirano venti di guerra nonostante le diplomazie usino toni rassicuranti e cerchino di evitare una incontrollabile escalation. Vorrei soffermarmi su cinque ragioni per cui Israele non dovrebbe attaccare l’Iran. Al primo posto i policy makers israeliani dovrebbero pensare alle conseguenze di un attacco; di certo gli Iraniani non starebbero a guardare. Se è vero che molti di loro non vedono di buon occhio il regime religioso, è anche vero che sono estremamente patriottici quando si tratta di difesa dei confini e tradizioni nazionali.
Un secondo punto che dovrebbe essere considerato, riguarda la reazione globale del mondo Islamico. Ho il forte presentimento che l’intera regione potrebbe trasformarsi da un focolaio di instabilità ad un incendio bello e buono. La Primavera Araba potrebbe benissimo trasformarsi in un rigido inverno. Un terzo problema da considerare è in relazione al possibile aumento del greggio sopra i 200 dollari al barile che contribuirebbe a riportare l’economia globale dentro una spirale di recessione. Quarto punto: il regime Iraniano ne uscirebbe rafforzato, d’altro canto sono anni che gli Ayatollah e Ahmadinejad puntano il dito contro il sionismo.
Del resto un Iran dotato dell’atomica è davvero così terrificante? Israele ne è in possesso da decenni, senza per altro far parte dell’agenzia che ne controlla l’utilizzo; India e Pakistan sono in possesso dell’atomica così come la Russia, oggi guidata da oligarchi, dispone di un arsenale non interamente sotto controllo. Forse si dovrebbe aggiungere un sesto punto per cui Israele non dovrebbe attaccare le postazioni nucleari iraniane: può una democrazia dirsi tale se per risolvere dispute diplomatiche ritiene di dover attaccare un nemico che fino ad ora ha semplicemente alzato il tono di voce e nulla più? Di certo il presidente americano Barack Obama sta utilizzando un approccio più cauto e in fondo spera che un attacco israeliano non si materializzi.
Ciò che sconcerta dell’atteggiamento israeliano è che nel momento in cui il Primo Ministro Benjamin Netanyahu fa proclami di guerra contro l’Iran, si arroga anche il diritto di dettare condizioni politiche all’Autorità Palestinese. Senza giri di parole Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione che non lascia dubbi: “Hamas e pace non vanno d’accordo” per cui “l’Autorità Palestinese deve scegliere tra pace o Hamas”. Questo quando il Presidente Palestinese Mahmoud Abbas aveva da poco comunicato che avrebbe guidato un governo d’unità nazionale composto da Hamas e Fatah in vista delle elezioni che dovrebbero tenersi la primavera prossima. Qual e’ la connessione fra questi due eventi? E’ chiaro a molti esperti che Israele sta attraversando un momento difficile al proprio interno: crisi economica, giovani in piazza, partiti religiosi in aumento, censura rampante e un rischio elevato di quasi conflitto civile sembrano far pensare che un’azione in Iran possa far dimenticare tutti questi problemi. La situazione sembra deteriorarsi abbastanza rapidamente, tuttavia restano molti canali aperti e le esperienze Irachene e Afghane potrebbe far rinsavire i più stretti alleati di Israele e impedire un attacco preventivo. Vero anche che sul versante Iraniano è difficile poter comunicare con un regime che non solo e’ sempre più isolato ma che da fonti interne sembra prendere una strada ancor più radicale di quanto non lo sia già: C’è persino chi dice che ad oggi Ahmadinejad rappresenta i moderati, il che è tutto dire.
Un attacco sembra sempre più vicino e nonostante l’Europa sia di fatto il vicino di casa di un potenziale conflitto, sembra che questo sia distante anni luce. E’ arrivato il momento, senza distinzione di opinione, che ci interessiamo di più a quanto accade dall’altra parte del Mediterraneo.