Quella di Silvio Berlusconi è stata certamente una figura molto complessa. Tale complessità gli ha fatto gioco, soprattutto da un punto di vista comunicativo. In molti casi è stata ricercata, voluta. È servita per attirare l’attenzione. Una delle leggi della comunicazione è che bisogna imporsi nell’agenda pubblica, essere presenti, incuriosire. Bisogna far parlare di sé: in che modo, non importa.
Di un certo tipo di comunicazione Berlusconi è stato interprete efficace e, per certi versi, rivoluzionario. Ha applicato scientemente l’approccio del marketing alla comunicazione politica, sulla scia di quanto veniva fatto da tempo negli Stati Uniti ma con riferimento al contesto italiano. Ha compreso che la televisione poteva essere trasformata principalmente in TV commerciale e ha piegato questa trasformazione alle istanze della politica. Ha assunto come modello comunicativo quello della pubblicità, incurante delle conseguenze sui comportamenti delle persone che ciò produceva. È riuscito insomma a creare una sintesi fra un certo tipo di comunicazione – la comunicazione pubblicitaria, appunto –, il controllo del canale che la veicolava – ovvero, propriamente, dei canali televisivi di cui era proprietario – e l’influenza sulla società che tutto ciò comportava, in termini di creazione di consenso.
Ciò gli ha consentito di governare più volte il nostro paese. Tuttavia, ripeto, questo approccio era legato alla comunicazione audiovisiva e alle finalità del marketing. Ben presto però, nell’Occidente globalizzato, a tale forma di comunicazione se ne sono affiancate altre. Inoltre, sebbene lo stretto legame tra comunicazione e marketing sia rimasto invariato, gli ambienti comunicativi in cui il marketing oggi è soprattutto sviluppato sono altri. La TV è rimasta, ma viene fruita da spettatori sempre più anziani. Alla TV si è aggiunto Internet, nelle sue varie espressioni (soprattutto i siti e i social). Internet la fa da padrone anche nella comunicazione politica. E all’interno dello stesso ambito stanno annunciandosi le nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale.
A questi mutamenti Berlusconi si è adattato. Ha recitato la parte del nonno. Ricordiamo i suoi video su TikTok in occasione delle ultime elezioni politiche. Ma questo non era certamente il suo approccio. E se non ha perso influenza, attraverso le sue TV, su una certa fascia di elettori, tenendo conto dell’invecchiamento di buona parte della popolazione italiana, gli sono venuti meno altri elettori: in special modo quelli più giovani.
Ho brevemente richiamato ciò che ha consentito a Berlusconi di essere vincente non solo nella sua attività di imprenditore della comunicazione, ma anche su di un piano politico. Ma si è trattato anche del suo limite. Più precisamente, è stato il suo uso della comunicazione a rappresentare il limite che gli ha impedito di creare un progetto politico degno di questo nome, e duraturo.
Il modello di comunicazione che Berlusconi ha privilegiato, infatti, gli ha consentito di ottenere, in certi momenti della storia recente, il semplice voto, o addirittura il convinto consenso di parte della popolazione. Glielo ha permesso appunto grazie alle strategie di marketing elettorale messe in campo. Ha reso possibile creare e tenere assieme coalizioni che potevano essere legate fra loro da una medesima strategia comunicativa, o dalla condivisione più o meno labile di alcuni contenuti. Ma ha impedito che venisse costruita davvero una cultura politica unitaria del centrodestra. A questo scopo il marketing elettorale non era sufficiente. Ci voleva semmai il riferimento a un’altra idea di comunicazione: quella per cui, con pazienza e capacità di mediazione, si potevano creare contenuti realmente condivisi, sia livello di elaborazione intellettuale, sia nella mentalità dei cittadini.
Ciò non è avvenuto anche a causa del limite intrinseco di quella strategia comunicativa che, pure, nei fatti si è rivelata così efficace. È stata infatti efficace nel breve periodo, come lo è la pubblicità, ma non è riuscita a costruire scenari consolidati. Resta da vedere se, nell’immediato futuro, una qualche forza politica riuscirà a costruire uno spazio comune che colleghi tradizione e progetto, e a comunicarlo.
Adriano Fabris,
Professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa dove insegna anche Filosofia delle religioni ed Etica della comunicazione