Lucca – In un tempo non troppo lontano, per attestare la veridicità di una notizia si diceva “L’ho letta sul giornale”. Più recentemente, la frase si è trasformata in “L’ha detto la televisione”. Oggi la fonte principale delle informazioni è il web e in particolare i social network. Ma quello che appare sempre più chiaro è che su internet e sulle bacheche dei nostri profili social cerchiamo e troviamo solo le notizie che ci aspettiamo, ottenendo (quasi) esclusivamente conferme della nostra posizione, senza alcuna possibilità di confronto e scambio di opinioni.
Numeri alla mano, la riprova di questa situazione ci viene da uno studio condotto alla Scuola IMT Alti Studi di Lucca, dal laboratorio di Computational Social Science guidato da Walter Quattrociocchi. È di questi giorni infatti la pubblicazione di un’importante ricerca su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), una delle testate scientifiche più note a livello internazionale.
La ricerca del laboratorio di scienze computazionali sociali di IMT esplora l’anatomia del consumo di notizie su Facebook su scala globale e dimostra come gli utenti tendano a focalizzare la loro attenzione su un numero limitato di pagine, andando a selezionare un gruppo ristretto di media da cui attingere informazioni e rafforzando le proprie opinioni, senza mai metterle in discussione.
«Ci stiamo isolando. Per la prima volta, attraverso l’analisi di 920 agenzie di stampa e 376 milioni di utenti, abbiamo esplorato l’anatomia del consumo di notizie su Facebook su scala globale – spiega Quattrociocchi – Questi numeri ci hanno dimostrato che gli utenti tendono a focalizzare la loro attenzione su un numero limitato di pagine, andando a selezionare un gruppo ristretto di media da cui attingere informazioni e rafforzando così le proprie opinioni, senza mai metterle in discussione. Di fatto, si chiudono nella loro bolla».
Alla radice di questo fenomeno, secondo gli autori, sta la rottura della struttura del sistema informativo. Oggi sono le testate giornalistiche che in un certo senso “inseguono” i social e l’informazione. Come conseguenza, l’informazione viene prodotta o almeno grandemente influenzata dai processi di massa. E questo accade indistintamente con ogni tipo di contenuto, che si tratti di cronaca, di scienza o di cultura.
Lo studio condotto da Quattrociocchi, insieme a Ana Lucía Schmidt, Fabiana Zollo, Michela Del Vicario, Alessandro Bessi, Antonio Scala, Guido Caldarelli e Eugene Stanley, dimostra come la ricerca di una specifica linea di informazione e l’arroccamento su di essa siano ormai una tendenza globale. «La soluzione? – conclude Quattrociocchi – Sviluppare l’abitudine al pensiero critico, partendo dagli studenti per arrivare agli adulti, e rifondare il sistema informativo, in modo che sia il più possibile libero dalla polarizzazione che oggi lo attanaglia».