StroncatureBiennale o fiera del vacuo? L’arte resta ai margini

La mostra tra egualitarismo di facciata ed esasperazione

Anna Vittoria Zuliani

Elogio della confezione sul contenuto, la prova tangibile che l’arte non è il pacco che la racchiude, e contemporaneamente che a volte è proprio questo ad avere la meglio sulla presunta. Distogliere l’attenzione sugli oggetti in mostra per rivolgerla al loro contenitore, a riempire il vuoto architettonico Edith Piaf e qualche bollicina. Al di là dei nobili propositi democratici di questa biennale che già aveva fatto discutere (e considero la polemica in parte la sua vocazione), non è ben chiaro quale sia il significato preciso di tutto questo. La democraticità in questione sembra consistere in una limitata accozzaglia di prodotti, portati a galla a suon di relazioni pubbliche, alla faccia di chi è convinto che questo mondo ammetta ancora il contrario. Si legge tra le righe una piccola rivoluzione nel significato di un termine: una nuova visibilità di cui “chiunque” può fare uso. Il solito egualitarismo di facciata.

Contesto la libertà con cui si è potuto esporre al padiglione se (e solo se) muniti di credenziali, ed insieme l’assenza di chi lavora senza condotti di convenienza. Penso tutto sommato che vi si possano rintracciare aspetti sociologici contemporanei, a testimonianza che anche un campo selettivo e qualitativo di questi tempi viene investito da una vacuità in massicce dosi. Dunque, in questi casi non è giustamente lecito parlare di correnti, ma sembra non sia più neppure lecito parlare di gusto. Alla faccia dei tagli alla cultura, una rassegna che esagera sulla quantità, perdendo di vista la propria ragion d’essere. Un curatore a cui sfugge il controllo sull’essenza della mostra, paradossalmente che resta in una posizione a-critica.

Qualche buona intuizione schiacciata dall’appariscenza dei più: ridotta ai minimi termini, l’essenziale sarebbe potuto stare in una stanza. “You too can be in the Biennale” è il titolo di un articolo di The Art Newspaper, basta cavalcare l’onda per poter dire “io c’ero”: allora la sola chiave di lettura può essere nell’esasperazione della quantità, sintomo di un mercato in cui convivono eleganza e paccottiglia, dove mancano i freni della critica e la necessaria scrematura. Il rischio, data l’affluenza, è quello di vedersi svalutare la partecipazione all’iniziativa, in cambio comunque di un aumento delle quotazioni. Un idillio per i galleristi.

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