Il frate domenicano Bartolomé de las Casas scrisse, nel 1542, una “Brevìsima Relacion de la Destruiciòn de las Indias” sulla colonizzazione spagnola nelle terre d’America, scoperte mezzo secolo prima da Cristoforo Colombo. Recentemente la sua traduzione (Mondatori, 1987) mi è capitata tra le mani e l’ho letta con raccapriccio, anche se nelle linee essenziali i fatti narrati erano noti.
Nella prima pagina, che riguarda un fatto svoltosi nel 1513 a Cuba, nelle località Caonao, fra soldati spagnoli e indigeni, si legge: “Mentre uno spagnolo distribuisce alla truppa il pesce, le galline e altre offerte di cibo ricevute dagli indiani,improvvisamente e inspiegabilmente (invasato dal Demonio?) un soldato sfodera la spada appena affilata e cala un gran fendente su uno di quegli uomini nudi che stanno assorti a osservare, ammazzandolo d’un solo colpo. Non passa un istante che i suoi compagni – saranno un centinaio – colti da furia selvaggia, si precipitano a imitarlo: ed è la strage. Una volta massacrati tutti i nativi che trovano sulla piazza, gli spagnoli irrompono nella casa e fanno scempio delle cinquecento creature che vi sono rinchiuse, uomini, donne, vecchi, bambini. Il sangue scorre ruscellando fra i ciottoli della piazza. Mentre gli invasati, le spade in mano, danno la caccia ai superstiti che sono fuggiti a rifugiarsi fra le sterpaglie, … In quell’anno 1513 l’episodio di Caonao faceva ormai seguito, sul continente americano, a una lunga serie di atrocità e di massacri.”
Oggi si valuta che all’arrivo dei conquistadores vivessero, nelle Americhe, circa 80-100 milioni di abitanti e che cinquant’anni dopo ne siano rimasti 7-10 milioni; dove non erano arrivati gli assassini e lo sfruttamento bestiale, il resto lo avevano fatto la denutrizione e le malattie, perché gli indigeni non erano immunizzati rispetto ai batteri portati dagli europei. Ad esempio, a seguito delle epidemie e dei massacri, la California, che contava una popolazione di un milione di indiani, nel 1860 scese a 35000 persone.
Oltre alle distruzioni e alle malattie, vi fu l’acculturazione forzata; uno dei pilastri di questa fu costituita dalle missioni cattoliche.
Lo stesso livello di eliminazione lo subirono i nativi del Nord America, nell’espansione dei bianchi verso l’interno e verso l’Ovest.
Di stragi e genocidi è piena la storia. Il più recente, e il più drammatico, è il genocidio degli ebrei e degli zingari ad opera dei nazisti. Forse il più antico è quello dei Neanderthalesi ad opera dell’Homo Sapiens (Cro-Magnon). Il periodo detto paleolitico medio, compreso tra i 300mila e i 40mila anni fa, vide l’ascesa e l’inizio del declino della specie Homo neanderthalensis. Convissuto nell’ultimo periodo della sua esistenza con l’Homo sapiens, la sua scomparsa in un tempo relativamente breve, circa 25000 anni fa, è un enigma scientifico; una ipotesi avanzata da Jason Shogren, economista dell’Università del Wyoming, è che si siano estinti perché scontratisi con i nostri progenitori, più efficienti e aggressivi. Ricerche recenti hanno mostrato che il genoma umano ha incorporato una frazione dei geni dei nostri cugini Neanderthal; evidentemente le due specie erano interfertili. In particolare, il genoma dei toscani, secondo l’antropologo John Hawks, è quello che ha incorporato più geni. Quindi anche allora c’erano persone che si adeguavano al saggio invito: fate l’amore, non la guerra.
Venendo ai tempi storici, ricordo qualche istruttivo passo della Bibbia, nel Deuteronomio: “Se un tuo parente vuole servire altri dei, devi ucciderlo … lapidalo e muoia”. “Se in una città le persone servono altri dei, tu allora dovrai passare a fil di spada gli abitanti di quella città; la voterai allo sterminio, con quanto contiene, e passerai a fil di spada anche il suo bestiame. Poi radunerai tutto il bottino in mezzo alla piazza e brucerai nel fuoco la città e l’intero suo bottino, sacrificio per il Signore tuo Dio”.
Arrivato in Palestina Mosè ordina “Uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna non vergine, ma conservate in vita tutte le vergini per voi”
Un libro recente di D.J.Goldhagen, “Peggio della guerra-Lo sterminio di massa nella storia dell’umanità”, documenta ampiamente le stragi della nostra epoca; la tesi centrale è che gli eccidi di massa non hanno inizio in strutture astratte o in confuse pressioni psicologiche, ma nella mente e nel cuore di uomini e donne.
L’elenco è interminabile, molti fatti sono largamente noti; ne cito alcuni fra quelli che più mi hanno colpito.
Nel mondo medioevale gli eccidi di massa erano frequenti; nel nome del loro Signore i crociati, nell’XI e XII secolo, massacrarono ebrei e musulmani, e non solo loro. I più grandi macellai di quell’epoca furono probabilmente Gengis Khan e i suoi mongoli, che nel XIII secolo compirono stragi immani in Asia e nell’Europa Orientale.
Nella tratta transatlantica degli africani persero la vita 15-20 milioni di persone, il doppio dei 10 milioni sopravvissuti che divennero schiavi.
Alla fine dell’Ottocento almeno dieci milioni di africani furono uccisi dagli aguzzini di re Leopoldo II, all’epoca padrone del Congo; molti altri vennero ridotti in schiavitù e orribilmente mutilati: gli studiosi l’hanno chiamata la “strage degli innocenti”.
Veniamo all’ultimo secolo. Nel 1915, durante la prima Guerra mondiale, i turchi massacrarono o provocarono la morte di 800000-1200000 armeni, sui due milioni che vivevano in Turchia (ma già negli anni 1984-86 avevano massacrato 150000-300000 armeni); si discute ancora se si trattò di genocidio.
Durante la partizione dell’India, tra il 1946 e il 1948, furono massacrate centinaia di migliaia di persone; e nel 1971, durante la successiva secessione del Bangladesh dal Pakistan, morirono per mano dei pakistani da uno a tre milioni di bengalesi.
Nella prima metà del secolo scorso, fino alla loro sconfitta nella seconda Guerra mondiale, i giapponesi praticarono eliminazioni di massa in Corea, Birmania, Manciuria, Timor Est, Filippine e nella Cina, invasa nel 1937.
In Unione Sovietica, fino alla morte di Stalin (1953), il massacro, in parte dovuto alle carestie e alle deportazioni, divenne un elemento semipermanente della politica statale.
In Cina, dopo la conquista del potere, i comunisti eliminarono oltre un milione di tibetani; fra il 1978 e il 1961, durante il Grande balzo in avanti, il regime maoista causò una carestia che costò la vita a 14-43 (secondo le fonti) milioni di cinesi.
Nel 1965 le forze armate dell’Indonesia sterminarono un milione di comunisti indonesiani.
Per decenni l’assassinio su larga scala in molti paesi dell’America latina fece parte della politica dei gruppi dominanti, spesso con l’appoggio degli Stati uniti: circa 70000 persone massacrate in Salvador negli anni Settanta, forse 200000 Maya tra il 1978 e il 1985; numeri inferiori, ma con obiettivi più mirati dopo i colpi di stato in Cile e in Argentina.
Nel 1972 nel Burundi almeno 100000 hutu furono eliminati dai tutsi e nel 1973 gli hutu trucidarono forse 25000 tutsi; l’anno seguente, nel Ruanda, gli hutu attuarono il genocidio dei tutsi, uccidendo, in tre mesi, 8000000 uomini, donne e bambini: un ritmo mensile superiore a quello degli ebrei uccisi nell’Olocausto.
L’interminabile guerra regionale fra diversi gruppi etnici e politici nella Repubblica democratica del Congo causò cinque milioni di vittime.
Nei primi anni Settanta, in Uganda, Idi Amin scatenò la più settaria violenza, perseguitando Indiani e altri gruppi etnici; una stima della International Commission of Jurists ha stabilito che le vittime siano state tra le 80.000 e le 300.000.
In Cambogia i Khmer Rossi di Pol Pot provocarono la morte di 1,7 milioni di persone, oltre il 20% dei cambogiani,
Dell’annientamento degli ebrei, l’Olocausto, e di altri gruppi etnici e politici ad opera dei nazisti non parlo neanche, perché è l’eccidio più noto e documentato; a perpetrarlo agirono forse mezzo milione di tedeschi, oltre a migliaia di polacchi, ucraini e lituani. Meno noto è che, nello stesso periodo, i tedeschi uccisero o lasciarono morire di fame tre milioni di prigionieri di guerra sovietici
Questo tragico e incredibile elenco è largamente incompleto, per ragioni di spazio. Si valuta che nel corso del XX secolo esseri umani abbiano assassinato direttamente o tramite carestie almeno 130 milioni di atri esseri umani. Rari sono i casi in cui singole persone o gruppi si siamo opposti alle stragi e ai genocidi.
Pensavo di commentare questi dati, ma mi mancano le parole. E’ però importante non dimenticare.