Storie della Romagna: per ritrovare il senso perduto dei diritti di tutti

“Il Sole dell’Avvenire” di Valerio Evangelisti

Raccontare la storia attraverso le storie è affare complicato. Si può farlo in modi accattivanti, inventando personaggi coinvolgenti che rispecchiano una narrazione che assolve gli uni e condannagli altri, gratificando il lettore col balsamo assolutorio del potersi identificare con la parte giusta.

Oppure, si può farlo attraverso personaggi che diano spazio alle voci del vissuto reale che rappresentano, senza imbellettarli di una coerenza ideologica proiettata a ritroso, lasciando a ogni storia la dignità del proprio particolare, permettendo così l’emergere di una verità plurale che antepone la comprensione degli errori rispetto al giudizio sulle persone.

È con questo secondo metodo, fondato su una straordinaria accuratezza storica, che con la trilogia “Il Sole dell’AvvenireValerio Evangelisti, scrittore e saggista morto nel 2022, ha scelto di raccontare sessanta anni di storia del nostro Paese, attraverso le vicende, personali e collettive, di contadini, braccianti, operai e militanti di organizzazioni politiche e sindacali della Romagna a cavallo tra 1890 e 1950. Una storia quanto mai attuale, di cui poco si serba a una memoria collettiva che preferisce fermarsi alla celebrazione della successiva resistenza al fascismo, come se l’una e l’altro non avessero radici in quanto seminato prima.

Tra i tanti meriti dell’opera di Evangelisti c’è proprio quello di offrire al lettore la possibilità di recuperare una memoria integra, necessaria a fare i conti con il passato, ma soprattutto a capire e affrontare un presente, che altrimenti si avvia a ripeterne gli errori. Tilio, Rosa, Canzio, Eleuteria, Reglio, Dora, Tito, Soviettina, Destino, Corinna, Amerigo, Stella e tanti altri sono nomi di fantasia che riportano in vita i nostri avi e nonni. Donne e uomini che, qui come in altre parti d’Italia, si ribellarono a una realtà fatta di violenza, soprusi e sfruttamento che li escludeva dai frutti del proprio lavoro. Donne e uomini che provarono a costruire un tutto che si traducesse in più ricchezza e diritti per tutti. Tennero duro a lungo, costruendo nuovi modi di stare insieme e opporsi alla violenza senza farsene conquistare.

Come la gente di Molinella organizzata in reti solidali, come le risaiole pronte a sdraiarsi davanti ai cavalli delle milizie per proteggere il proprio o altrui sciopero, come i tanti e le tante confinati e incarcerati, spesso senza accusa e processo. Donne e uomini, ai quali ancor oggi dobbiamo gratitudine, che lavorando e lottando uniti sono riusciti a compiere imprese titaniche, ma furono anche vittime di errori madornali che li divisero. Troppa parte della classe dirigente che riuscirono a esprimere si lasciò sedurre dall’ambizione personale; uomini che, credendo di cambiare il mondo, persero magari la capacità di capire le necessità vitali di quello cui appartenevano.

Donne e uomini che finirono massacrati a milioni: da guerre, epidemie di spagnola, malaria, fame e fatica, che tornarono a essere la mercede quotidiana invece del pane; dalla riscossa del patriarcato padronale, che seppe radicarsi tra le sue stesse vittime, arruolandone non poche nella bestialità feroce del fascismo.

Nell’offrirci il suo racconto, Evangelisti non addita nessuno alla gogna di una colpa e si trattiene dal concatenare in sequenze i tanti errori che ricostruiti oggi parrebbero evidenze schiaccianti di un disegno oscuro. Al giudizio facile che assolve quasi tutti, antepone la necessità di svegliare l’intelligenza responsabile di ciascuno, chiamata a far tesoro di tragici errori che rischiamo di ripetere. La banalità del male che emerge nella storia restituitaci da Evangelisti si rivela, infatti, per quello che è stato e continua a essere: un virus pronto a dilagare da cui nessuno può dirsi immune. Si manifesta come stupidità e culmina nella barbarie collettiva.

Ancora oggi, purtroppo, l’illusione perpetua di poter risolvere i conflitti senza riconoscersi nella responsabilità di costruire un Diritto condiviso, affidandosi ai rapporti di forza continua a riprodursi ovunque e tra chiunque. Nonostante il vezzoso richiamo a “Dichiarazioni Universali” “stato di diritto” e quant’altro sia ormai entrato nel discorso comune, il “noi” che vi si appella si definisce, prima o poi, in contrapposizione a un “loro”. Un conflitto che par destinato a farsi eterno, nutrito da una, sempre meno celata, disposizione a porre sullo stesso piano il diritto all’essere e quello all’avere. Poco importa che la spinta a farlo provenga dalla necessità impellente di ciò che serve a vivere, dall’istinto a difendere il poco conquistato, o dalla brama di accaparrare il più possibile; l’esito finale è sempre lo stesso.

Secoli di sanguinosi massacri, puntualmente commemorati a suon di “mai più”, non sembrano bastati a insegnarci che nessun “noi” può, a ben vedere, prescindere da come davvero stia ciascuno di quei tanti di volta in volta relegati alla non appartenenza in quanto “voi” o “loro”per una qualunque ragione. Pur di fronte a catastrofi globali, continuiamo a reclamare diritti riconoscendoci sempre meno responsabilità per un noi che torna a restringersi e dividere. La ricchezza e finanche la rendita tornano a essere narrate benefattrici che creano lavoro; esonerarle dal riconoscersi debitrici e responsabili verso chi con quel lavoro le alimenta, o chi ne subisce le esternalità par dunque atto dovuto. Piuttosto par affermarsi la convinzione che favorirle si debba, pena la povertà ancor più nera di chi è riuscito ad aggrapparvisi e ancor più di chi ne è escluso.

La sicurezza declinata come accaparramento di beni e mezzi da consumare ad libitum, anche se essenziali a tutti, riporta la priorità alla creazione di muri, confini, sistemi di sorveglianza ed esclusione. In questa stupida convinzione che a salvarsi bastino forza e furbizia, la politica rimpicciolisce incattivendosi sul volatile consenso dell’oggi, purché maggioritario. L’unico ruolo del legislatore, creare Diritto per governare i conflitti con Giustizia torna a essere vacante.

Di fronte all’abisso che ci si para dinanzi, Il sole dell’avvenire di Valerio Evangelisti è un’opera preziosa, da leggere e rileggere. Non offre miracolose fughe in avanti, semmai una solida possibilità di recuperare una consapevolezza sincera di chi siamo e da dove proveniamo. Non è poco, per provare insieme a ripartire costruendo un Diritto giusto in cui riconoscerci ugualmente tutelati e responsabili. Noi, voi, loro, tutti.

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