Norta e Udah, ovvero Luce e Fiore. Due donne, due destini che si incrociano e finiscono per somigliarsi come quelli di tante altre, altre donne che seguono il corteo di Rifredi, indetto per chiedere casa, lavoro, futuro.
Luogo di nascita, la Somalia dell’eterno conflitto, della fame e della povertà assoluta.
Età: sui trent’anni, forse trentacinque.
Status: rifugiate, profughe di guerra.
Nel 2008 arrivano a Firenze, dopo la traversata sui barconi, dopo l’arrivo a Lampedusa. Sono convinte di trovare una chance per il loro futuro e quello dei figli lasciati in Somalia: 2 figli Norta, 5 Udah, lasciati ai nonni, agli zii, ai parenti. Norta ha anche il marito con lei, Udah è sola, o forse preferisce non svelarlo. Raccontano di aiuti temporanei che non risolvono niente, della volontà di cercare lavoro, di imparare a parlare l’italiano per costruire qualcosa che finalmente non sia precario, in balìa di leggi, regolamenti, accordi internazionali, cose che conoscono ma non capiscono, cose lontane, estranee dalla necessità di trovare cibo, casa, lavoro. Futuro.
Intanto, quasi sempre l’unico pasto certo è quello della Caritas. Avere lo stomaco vuoto è una brutta cosa, racconta Norta: ti si svuota anche la testa, non riesci più a pensare a cosa sai fare o a che cosa potresti imparare. Ma un pensiero, spiega Udah, non ti lascia mai: quello dei figli.
“Da anni non riesco a dormire la notte, perché tutte le volte penso a loro, che son rimasti in mezzo alla guerra. Per farmi coraggio penso sempre che fra un anno sarà tutto finito, avremo casa e lavoro, potremo stare tutti insieme e … come si dice in italiano? … Saremo felici”.
Foto Chiara Sacchetti