Stazione Firenze SMN, una perla che non brilla

Non è solo degrado, è forse qualcosa di peggio. Dimenticanza, noncuranza? Un giro nella stazione fra le più belle d’Italia, Santa Maria Novella, è una vera pugnalata per chi ha sempre ammirato una struttura che fece balzare l’Italia all’avanguardia in Europa, negli anni ‘30, per le soluzioni funzionali e formali dell’architettura pubblica di servizio. Non si tratta della carta, del sudicio, delle scritte sui muri. E’ qualcosa che va al cuore della struttura e del suo valore.
 

Povero architetto Mazzoni, però. E’ vero, arrivò secondo al concorso bandito nel 1932 dopo che il suo progetto per la stazione di Santa Maria Novella aveva scatenato le violenti reazioni del gruppo capitanato dallo scultore e accademico fiorentino Romanelli; è vero, il progetto di Michelucci era destinato a dare vita a uno dei maggiori esempi del Razionalismo presenti in Italia; tuttavia, passeggiando nella stazione di Firenze, ci si accorge che gli “sgarbi” sono stati fatti in particolare contro di lui (anche se non solo, come si vedrà). Infatti, di sua competenza restarono, dopo la vittoria di Michelucci, alcuni elementi al di fuori del Fabbricato Viaggiatori e della Palazzina Reale, fra cui le pensiline fra i binari e una parte (erano già iniziati i lavori) dell’edificio delle poste ferroviarie su via Alamanni. Senza contare la Centrale termica e la Cabina apparati  centrali, salutati come capolavori al loro nascere, decaduti e infine ampiamenti rivalutati negli anni 70, attualmente di nuovo sotto tiro. Uno degli “sgarbi”  più evidenti all’opera del Mazzoni all’interno della stazione fiorentina riguardano le lunghe fila di neon che corrono, come elementi di illuminazione e rifinitura, sotto le ali delle pensiline. Ebbene, fila di neon che dal binario 5 al 15 non recano più i preziosi elementi a U di vetro che li ricoprivano fino ad almeno un anno fa. Perché così importanti, ci si chiederà?

Per vari motivi. Il principale è che si tratta di un elemento architettonico voluto: l’opera del Mazzoni infatti fu progettata come una opera di architettura integrale, vale a dire un’opera in cui si pensò anche agli arredi e rifiniture in modo non slegato al corpo strutturale. Tant’è vero che anche i poggiabagagli e sedute che si mostrano “abbracciate” ai piloni che sostengono le pensiline furono pensate proprio in funzione di quelle pensiline come elementi non esterni, ma omogenei alla struttura . In questo contesto, gli elementi di vetro a U che racchiudevano e delimitavano la lunga fila di neon (anche questa scelta voluta dall’architetto, in consonanza col gusto dell’epoca che scopriva nelle nuove tecnologie nuove valenze estetiche) sono parte integrante dell’opera finale. Le file di neon scoperte, più luminose, non rispettano tuttavia l’esigenza primaria del monumento, estetica e funzionalità. Tant’è vero che il vetro, unitamente al neon, era considerato esattamente come elemento integrante dell’opera compiuta, strumentale al grande tema dell’architettura di impronta futurista del Mazzoni e non solo: la luce, l’illuminazione.
Un elemento così fondamentale dell’epoca che il “gruppo Michelucci” ne sfruttò le potenzialità utilizzando il materiale innovativo prodotto dalla gloriosa Società An. Balzanetti-Modigliani di Livorno: il termolux, formato da uno strato di materiale vetroso a sua volta innovativo (il vetroflex, che sfruttava la tecnica di filatura del vetro) inserito fra due lastre di vetro. Ciò di cui è ricoperta la grandiosa galleria di testa e che forma la cascata di luce della vetrata a gradoni che finisce sulla piazza antistante il retro della basilica di Santa Maria Novella. L’illuminotecnica della stazione, così importante, era completata da due torri luminose nel lato partenze, attualmente in stato di semiabbandono, grigie e trascurate.

Una domanda dunque è inevitabile per chi si trova a passeggiare lungo le pensiline mazzoniane: perché da almeno 12 mesi e più gli indispensabili (per la finitezza della struttura architettonica) elementi in vetro filettato, sono ancora assenti nelle pensiline che sovrastano i 10 binari centrali della stazione? E che fine hanno fatto? Sono in restauro, riparazione, stanno per essere riprodotti da una ditta che con sommo scrupolo si curerà di farli uguali agli originali?

Ma il viaggiatore con qualche cura per l’arte e magari estimatore dell’architettura anni 30, uscendo sul lato via Alamanni, si accorge di un’altra “ferita” inferta all’opera dell’architetto bolognese: il muro di contenimento della rampa che sale verso il binario postale è stato “scorticato” dal marmo di rivestimento e se ne sta lì moribondo senza che se ne possano apprezzare i valori cromatici e i richiami alla struttura restante. Qui si parla (stando bassi) di qualche anno di assenza. Perché? Cosa è successo a quei marmi? Il restauro, attualmente in corso da parte di Grandi Stazioni, e recentemente presentato, ne prevede il ripristino?  

Ancora alcuni appunti, lasciando le tematiche strettamente mazzoniane: le condizioni delle scritte, ad esempio, in rame patinato, mancanti in parte o in tutto in alcune zone, o manomesse, ma anche l’utilizzazione dell' atrio della Biglietteria come “sala d’aspetto” con l’ammucchiare poltroncine stile aeroporto al centro.
Qeullo che era il grandioso ambiente di prima accoglienza per chi accedeva alla stazione (era infatti l’ingresso principale, anche se progressivamente sminuito dal rafforzarsi dell’importanza dei due accessi laterali, via Valfonda e via Alamanni), la Sala Partenze su cui si aprivano le grandi vetrate del ristorante, è ora “ingolfato” e tradito nella sua natura di spazio aperto e passaggio.
Scelta forse da ridiscutere, non foss’altro per la natura di monumento nazionale non solo funzionale della stazione fiorentina, meritevole forse da parte della Soprintendenza di una maggiore tutela.    

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