Firenze – Innovazione, startup, capitale di rischio: parlano i potenziali investitori. Quelli di cui le imprese nascenti lamentano spesso la latitanza. Eppure: “Se il progetto è buono, trovare il capitale non è un problema” dice Tomaso Marzotto Caotorta, sfatando parecchi luoghi comuni. Marzotto è attualmente vicepresidente della Fondazione Michelucci, e nel 1999 ha creato a Milano l’associazione italiana dei Business Angel (Iban), investitori privati che mettono fondi in aziende neonate con un forte potenziale di crescita. Per quasi dieci anni ha fatto parte della giuria startup competition italiana, e dunque di microimprese che muovono i primi passi ne ha viste centinaia.
Marzotto, se qualcuno si mette a parlare con una startup toscana, la prima cosa di cui si lamenta è la mancanza di capitale per decollare. Eppure ci sono territori in cui nascono realtà straordinarie dal punto di vista dell’innovazione. Perché questa scarsa propensione a finanziarle?
In questa regione ci sono diversi club di Angel investor, organizzati in varie forme. I più importanti sono concentrati nei territori di Pisa, Pistoia, Lucca, Firenze. Nel capoluogo toscano c’è anche uno dei più importanti acceleratori a livello nazionale, La Nana bianca. A fronte di ciò sul territorio c’è una discreta vivacità di startup che tuttavia sono spesso costrette a vivacchiare o ad uscire dai confini regionali per svilupparsi adeguatamente. Il fatto è che nonostante questo potenziale, in Toscana non esiste un catalizzatore pubblico. La tendenza oggi è: i Business Angel intervengono per primi nel finanziamento e poi coinvolgono un fondo di Seed capital che aiuta a condividere il rischio. Questi fondi sono quasi sempre costituiti da risorse pubbliche. Ne esiste uno in ogni regione italiana. Ovunque, tranne che in Toscana. E’ una circostanza davvero incomprensibile e una debolezza sia per i potenziali investitori che per le startup.
Eppure la Regione Toscana sembra particolarmente sensibile all’innovazione…
Lo è a parole, non nei fatti. Tempo fa esisteva Toscana Venture, legata alla Regione, ma ha fatto tre o quattro operazioni in perdita e ha chiuso. Non aveva strumenti e know how per intervenire. La governance pubblica in Toscana non sembra capace di selezionare gli interessi in campo per scegliere dove e come creare nuova imprenditorialità. Se questo territorio ritiene che il mondo dell’innovazione può dare nuova ricchezza deve investire massicciamente e selezionare i soggetti. Fare una startup non può diventare un ammortizzatore sociale per far lavorare un giovane per un po’ e poi si vedrà. Guardi, nell’Albo delle startup creato presso le Camere di commercio non molto tempo fa purtroppo c’è tanta “fuffa”…
L’assenza di una politica industriale probabilmente è un male italiano, non crede?
In Italia esistono alcune facilitazioni per chi investe in startup, ma il settore pubblico avrebbe il dovere di stimolare il flusso di capitali verso l’innovazione. Pensi che in Francia se un privato perde il suo capitale, il coinvestitore pubblico glielo restituisce, purché lo reinvesta in una nuova impresa. Perché in Italia non viene fatta una cosa simile? Consideri che il tasso di mortalità in questo campo è molto alto: su dieci imprese solo un terzo sarà in grado di garantire un ritorno del capitale investito pari anche a venti o trenta volte nell’arco di quattro o cinque anni. Per il resto, una su tre muore, e un altro terzo resta incagliato.
Lei è stato un anticipatore nel campo degli investimenti in piccole aziende innovative nel nostro Paese. Come è cambiata la situazione in questi ultimi anni?
Dal ’99, quando abbiamo costituito l’associazione nazionale dei Business Angel, sono stati fatti grandi passi. Allora eravamo veri e propri marziani: nel nostro Paese si sapeva a malapena cos’è il capitale di rischio. Oggi ci sono decine di associazioni sparse sul territorio, e spesso esiste un supporto pubblico. Consideri che stimiamo che vengano investiti nella nascita di nuove imprese circa 700 milioni di euro l’anno. Pochi rispetto all’estero, ma è pur sempre una cifra di tutto rispetto. Si va dal singolo “Angel” che impegna 30mila euro, al gruppo che ne investe alcune centinaia, fino a operatori Venture capital che intervengono su startup di media grandezza.
Quali qualità richiede un potenziale investitore privato ad una startup?
Qui si apre un grande capitolo. Non basta un’idea forte per sopravvivere. Una startup deve avere una squadra di qualità e capacità gestionali per muoversi sul mercato. L’Università, gli incubatori devono essere molto rigorosi per selezionare le imprese nascenti. Solo così potranno avere successo. E poi le startup facciano il piacere, se vogliono farsi conoscere da potenziali investitori, vadano sul sito dei Business Angel e riempiano il modello standard ormai in vigore da dieci anni. Con le informazioni giuste e senza spendere invano troppe parole. Un buon progetto, adeguatamente illustrato, riuscirà a trovare i capitali per decollare.
Foto: Tomaso Marzotto Caotorta
Immagine: Inc42