Spazio Alfieri: il cinema clandestino dell’iraniano Jafar Panahi

Firenze – Il cinema clandestino del regista iraniano Jafar Panahi, è simbolo di resistenza. Ora detenuto, in esclusiva il suo ultimo film “Gli orsi non esistono”, vincitore del premio speciale della giuria a Venezia. Da giovedì 6 ottobre in esclusiva allo Spazio Alfieri l’ultimo film del cineasta autore di capolavori come Taxi Teheran e Tre volti, racconta la difficoltà di un regista nel girare sotto un regime

Premio speciale della giuria a Venezia, il film Gli Orsi non esistono è la storia di un regista che cerca di girare un film da remoto. Una storia narrata tra Cinema e Metacinema, immortalata da un uomo che continua a esporsi in prima persona senza timore, Pahahi è stato arrestato nel luglio 2022 come dissidente poco dopo aver ideato e realizzato questo film e non ha potuto ritirare il premio alla Mostra del Cinema. Un ulteriore esempio di cinema clandestino al quale il regime iraniano ha costretto il regista ormai da anni, ma non gli ha impedito di vincere Palme e Orsi, fra cui il Leone d’Oro nel 2000 per il film Il cerchio.

La storia di Gli Orsi non esistono è come uno specchio in cui si riflette la vicenda privata e pubblica di Panahi, è stato condannato per propaganda contro il sistema. Arrestato l’11 luglio dopo aver manifestato per la liberazione di alcuni registi indipendenti, da anni è obbligato a rimanere nel Paese, a non prendere la parola pubblicamente, a non girare film, un confino nell’invisibilità e nell’oblio (è una delle armi predilette delle dittature) che dimostra quanto spaventino sempre e ovunque le teste pensanti. Quella di Panahi è una scommessa (sul cinema) senza vittimismi, di chi nelle immagini e tra le geometrie delle parole inventa un proprio spazio e prova a abitarlo.

Il wi-fi non è la cosa che funziona meglio in un villaggio dell’Iran al confine con la Turchia. Di contro la superstizione, la censura, l’ingiustizia funzionano alla grande. Per cui il regista protagonista – interpretato dallo stesso Panahi – si ritrova a voler girare un film da remoto e a confrontarsi con gli abitanti di un paesino rurale. Al netto dell’affettata gentilezza, dalle tazze di tè, dagli squisiti manicaretti locali, la popolazione pare molto diffidente nei confronti di questo cineasta proveniente da Teheran. E mentre Jafar dirige da remoto la sua troupe, due storie si sviluppano e procedono in parallelo, minacciate da incomprensibili tradizioni, obsolete credenze, corrive ipocrisie. Due storie in cui gli amanti vengono osteggiati dalle forze della superstizione, dalle meccaniche del potere e da ostacoli nascosti e inevitabili.

Foto: Jafar Panahi

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