Firenze – Siamo tutti in attesa del decreto Aprile, che poi è diventato Maggio, per capire dove sarà diretta la “forza d’urto nazionale” con i 50 miliardi messi a disposizione per il secondo provvedimento.
Che sommato al primo arriverà ad una cifra di 75 miliardi. Non sono tantissimi, come sembra accadere nei paesi più forti come la Germania o gli Stati Uniti, ma sono pur sempre un intervento importante. Se la perdita di pil si attestasse a fine anno sul meno 8% si tratterebbe in valore assoluto di una diminuzione di 180 miliardi che tradotti in risorse ai privati, al netto dell’imposizione fiscale, vorrebbe dire circa 100 miliardi di perdita netta.
Quindi con le attuali misure che non sono di messa a disposizione di liquidità ma di sostegno al reddito e di nuova spesa sociale si raggiungerebbe circa il 75% della perdita prevista.
Dal punto di vista dell’impegno dello Stato si tratterebbe invece di un “esborso” di 75 miliardi a cui si aggiungerebbe una “perdita” di entrate pari a 78 miliardi per un totale di 153 miliardi pari all’8,5% del pil. Il tutto ovviamente con una caduta dell’8%. Con cadute superiori la situazione sarebbe evidentemente più grave. Ma, per il momento, ragioniamo su una prospettiva seria ma non catastrofica.
Questo per dire che le due manovre italiane a sostegno della crisi economica e sanitaria da coronavirus non sono piccola cosa. Certo si potrebbe fare di più. Si dovrà forse fare di più ma non è certo da pensare che sia possibile stravolgere ancora di più i conti pubblici dello Stato. Poi certo in giro per il paese ci sono tanti maghi, creatori di moneta dal nulla, dispensatori di risorse a fondo perduto e di abbattimento totale di tasse, ma lasciamo fare. Nelle crisi ci sono sempre i “venditori di salvezza” a poco prezzo.
Ma queste manovre che si affiancano ai tanti strumenti messi fino ad oggi a disposizione dell’economia italiana dalla Unione Europea, per ora più sulla disponibilità di liquidità e sulla capacità di indebitamento, pubblico e privato, a costi più contenuti che sul sostegno al reddito dei soggetti colpiti dalla crisi, che segno hanno?
Il segno per ora è incerto almeno se si guarda al mediolungo periodo. Cioè gli interventi per il “superamento congiunturale” della crisi sono chiari e dovuti. In questo momento c’è da salvare il salvabile. E c’è da sostenere, anche con forme di assistenza immediata chi è rimasto senza mezzi di sostentamento.
Ci sarebbe semmai da discutere sulle forme con cui si è messo in atto questa sorta di “helicopter money” per le diverse tipologie di lavoratori e imprese. Cioè un helicopter che è stato fatto volare con le stesse regole di ingaggio “normali” e che ha messo in evidenza lentezze, burocrazie e incapacità di selezione che rischiano in qualche caso di portare sostegno a chi non ne ha bisogno, e quindi senza alcun problema in termini di tempo, ed invece di tardare a intervenire laddove c’è un maggiore bisogno e quindi anche problemi di legati al tempo di consegna del sussidio.
Lo sforzo del Governo c’è stato sia con il fondo per le spese, giustamente fatto gestire dai comuni, sia con gli interventi per il mondo dei soggetti autonomi ed ora, nel secondo intervento, allargato ad una platea più ampia sia di autonomi “particolari”, come per esempio le colf e le badanti, sia di lavoratori del nero che non rientrano in alcuna tipologia contrattuale. Il reddito di emergenza che si affianca al reddito di cittadinanza dovrebbe poter spaziare nel mondo dei “bisogni di sostegno” con la giusta flessibilità. E anche con un senso di solidarietà verso la fascia debole, e poco protetta, del paese.
Lo stesso discorso si cerca di fare rispetto al variegato mondo delle piccole imprese. Il primo intervento è mosso dall’esigenza di non fa morire le attività per mancanza di liquidità. I prestiti garantiti dallo Stato in misura considerevole e con tassi agevolati dovrebbero servire allo scopo. Anche se si sono rilevati insufficienti non tanto per la capienza e il grado di garanzia quanto per la lunghezza e la farraginosità della elargizione da parte delle Banche e per la mancanza di finanziamenti a fondo perduto che soli possono evitare un aggravio per un eccesso di indebitamento nel lungo periodo. Nella discussione a livello Europeo la possibilità di trovare spazi per finanziamenti a fondo perduto per le piccole imprese è al centro dell’Agenda dei prossimi mesi.
Un discorso a parte sono le manovre dedicate all’alleggerimento dei costi fissi per forniture di servizi e per l’affitto di immobili a fini produttivi. Qui si è seguita la strada dello sgravio o dell’allungamento dei pagamenti, che è un’altra misura di dotazione di liquidità, mentre, in particolare per la voce affitti, forse sarebbe stato più utile, e anche più giusto in termini di meritorietà del reddito, abbassare il costo della rendita in un momento di forte crisi produttiva del paese piuttosto che sostenerne il pagamento con incentivi dedicati.
Per il mondo della media e grande impresa, oltre ai fondi per la liquidità garantita ad un certo livello dallo Stato, si è parlato lungamente anche di possibilità di aiuti per un vero e proprio rafforzamento del capitale anche attraverso l’ingresso dello Stato come azionista e quindi come codecisore a livello strategico delle imprese. Insomma una qualche cosa che deriva,come filosofia d’approccio, alle idee dello Stato innovatore della Mazzuccato che è una delle consulenti di punta dell’attuale Governo.
Insomma di uno Stato che non finanzia e basta ma che cerca di entrare, in maniera innovativa e con strategie vincenti, nel definire i percorsi produttivi di una parte del sistema di imprese più strutturate. Si tratta ovviamente di una possibilità da non scartare in maniera netta dal punto di vista teorico, specialmente di fronte al mondo incerto e bizzarro del dopo coronavirus, ma che mal si adatta all’immagine e alla realtà non proprio avanzata del nostro Stato. Il rischio è quello di pensare alla “prima Iri”, con i suoi punti di forza e di innovazione anche istituzionale che rappresentò in quel tempo, e di arrivate alla “ultima Iri” fatta di ruberie, inefficienze e di cattiva gestione di impresa.
Ecco, partendo da questa considerazione, è possibile trarre un discorso generale sull’intera manovra del Governo. Necessaria e scontata per alcuni versi di fronte alla emergenza ma del tutto priva di un quadro di riferimento per il rilancio nel dopo coronavirus.
Quando si aiutano le frange più marginali dell’economia e del corpo sociale si fa una cosa giusta. E inevitabile. Ma per il dopo si potrebbe pensare a come prosciugarle e non a portarsele dietro come se fossero elementi di “folklore” del paese. O vogliamo ripartire con il tasso di lavoro nero e di illegalità da paese del terzo mondo? Questa occasione di aiuti potrebbe invece servire da “nuovo momento zero” dopo il quale si aiuta chi ha bisogno ma si decreta anche la fine di un certo andazzo.
I redditi di cittadinanza, di emergenza non possono diventare gli strumenti per tenere un paese nella marginalità ma piuttosto per accompagnarlo ad uscirne.
E poi oggi tutte le imprese vanno aiutate a superare la crisi. Ma si potrebbe cominciare a pensare di “sostenere i più forti”, nel senso delle imprese più avanzate, più efficienti che lavorano in settori dinamici, con particolari strumenti e incentivi? Questo per dare non solo un oggi ma anche un domani al nostro sistema produttivo.
Insomma vorremmo vedere aiuti e politica industriale, sostegno ai redditi e politiche di formazione e di inserimento in percorsi produttivi avanzati, aiuto alle medie e grandi imprese a vivere ma anche a costruire nel paese nuove reti, nuove filiere in modo da innervare tutto il sistema produttivo di innovazione, ricerca e cambiamento tecnologico.
E’ giusto uscire dalla crisi pensando agli ultimi. Ma ben sapendo che, al di là della retorica, saranno i primi ad aprirci la strada per un futuro collettivo che non sia semplicemente di gestione di un lento declino e di decrescita. Che, siamo sicuri di poterlo dire, non sarebbe per niente felice.