Firenze – Se si volesse stringere a una sintesi essenziale, il contenuto dell’incontro con la stampa avvenuto stamattina all’occupazione di via Silvio Spaventa, “in casa”, per così dire, dei Gesuiti, potrebbe essere composta di poche parole: le istituzioni non vogliono parlare con i rifugiati, somali, 120, tutti con “i documenti” in tasca, alcuni semplicemente in attesa di rinnovo, altri con le richieste già “passate” dall’istruttoria ( e viste le lungaggini della burocrazia italiana, si parla di tanto tempo) in quanto in situazione di illegalità. Una situazione tuttavia che, fra progetti senza risultati, occupazioni, promesse, sgomberi, tragedie (come quella dell’ex-Aaiazzone occupato, divorato da un incendio in cui perì, nel disperato tentativo di salvare i documenti che servivano anche al ricongiungimento con la famiglia, Alì Muse) continua a trascinarsi da almeno 12 anni, vale a dire, come ricordano in molti fra i cronisti più “anziani”, dallo sgombero del Banti, sulle colline di Careggi.
Ma le istituzioni, vale a dire il Comune, non aprono nessuno spiraglio alla richiesta portata avanti dagli occupanti, con l’appoggio del Movimento di Lotta per la Casa, e, da stamattina in modo ufficiale, anche dell’associazione Medu e con la solidarietà di Medici Senza Frontiere, di aprire almeno un tavolo interistituzionale che veda la partecipazione anche dei rappresentanti degli occupanti. Richiesta che il Comune giudica irricevibile, data la situazione di illegalità in cui gli occupanti stessi si trovano. Del resto, una situazione molto simile si era venuta a creare con l’altra “occupazione” di via Luca Giordano, che vantava tuttavia, nel 2009 (dopo l’occupazione del 2008 di un ex-magazzino ferroviario) la concessione dell’immobile da parte del comune di Firenze in comodato d’uso nel 2009, ad un’associazione di rifugiati stessi, “Kulanka”, vale a dire assemblea. “Esperimento” messo nel nulla dallo sgombero di qualche settimana fa, quando, oltre all’azione di ordine pubblico, non ci sarebbe stata, come raccontano alcuni protagonisti, nessun’altra proposta progettuale, nonostante in un primo tempo si fosse pensato di intravedere un margine di confronto con le istituzioni. Uno sgombero attivato da ragioni di “sicurezza”, insomma uno sgombero, come ricorda Luca Toscano, esponente del Movimento di Lotta per la Casa, per “motivi umanitari”.
E che il rischio dello sgombero “umanitario” cominci a proiettarsi anche su via Silvio Spaventa, potrebbe essere segnalato, come racconta Toscano, dall’entrata nello stabile dei Gesuiti dei Vigili del Fuoco, che in buona sostanza avrebbero trovato due criticità per motivare la difesa della “sicurezza” di chi ci abita: da un lato il sovraffollamento (ragioni di salute ), dall’altro la presenza di bombole del gas, presenza che desta allarme per le conseguenze che perdite o nel peggiore dei casi fiamme potrebbero avere. Insomma, anche se i Gesuiti si mostrassero irremovibili sul principio “niente sgombero senza soluzioni” (ma per ora, Padre Brovedani sembra tacere), l’azione di ordine pubblico “umanitaria” non potrebbe essere fermata. Resta da capire che cosa si farebbe, o cosa potrebbero fare, i 120 rifugiati “invitati” fuori senza che si siano palesati altri progetti o alternative.
Ma l’occupazione di via Silvio Spaventa presta il destro per diventare un “simbolo” anche per un’altra questione, vale a dire il “fallimento” come lo chiamano all’unisono,insieme ai protagonisti di questa vicenda, gli operatori sul campo di Medu e Giuseppe De Nicola, Medici senza Frontiere, della politica di accoglineza dell’Italia. Che di fatto si può riassumere così: l’Italia è uno dei paesi europei più “brillanti” nel salvataggio in mare, ma uno dei pochi a non prevedere niente per il dopo. Un “niente” che riguarda anche le politiche di inclusione degli SPRAR, ad esempio, che quando funzionano lo fanno solo per poche persone, o i vari progetti affidati a cooperative, che assorbono molti soldi dallo Stato, ma che spesso lasciano, finito il periodo progettuale, le persone nelle stesse condizioni di prima: senza la padronanza della lingua, senza un mestiere, senza un tetto. “In buona sostanza, manca il monitoraggio” conclude Fararo. Eppure, la capacità di pensare, anche da parte dello Stato, a soluzioni alternative, più efficaci e meno dispendiose, ci sarebbe, come ricorda De Nicola, citando ad esempio una situazione in fieri nella città di Bari, dove un’occupazione potrebbe essere ricondotta alla legalità e anzi utilizzata dai livelli istituzionali con il coinvolgimento diretto dei migranti. Soluzione che potrebbe essere anche a costo se non zero, bassissimo per gli enti locali. Qualcosa, insomma, di molto simile al “Kulanka” (sgomberato) di via Luca Giordano, a Firenze.
Puntualizza la questione Tommaso Grassi, consigliere comunale di Firenze riparte a Sinistra, presente all’incontro. ““L’assenza della politica dalle vertenze e la mancanza come obiettivo di restituire la possibilità alle persone accolte di contribuire alla società porta a questa situazione. Chiediamo al Comune di accettare gli incontri richiesti da MEDU e dalle altre associazioni che operano nell’occupazione di Via Spaventa e rilanciamo la proposta di costruire un tavolo con le associazioni, i movimenti e chi vuol provare a trovare soluzioni prima di qualsiasi sgombero o azione di forza. Lo sgombero senza alternative non è una soluzione: lo vediamo ogni giorno, l’ultimo in Via Luca Giordamo, che sgomberato un palazzo le persone non scompaiono ma rioccuperanno soltanto un po’ più lontano. Rincorrere la marginalità da un luogo all’altro: è questa l’unica soluzione che Firenze intende offrire? Ci pare, sinceramente, inaccettabile.”.