Solo Monti può rottamare la Seconda repubblica

Ecco perché a dispetto delle apparenze la candidatura del professore può rappresentare una svolta vera nella storia del Paese

Quando si tratta di politica, in Italia fare previsioni è quasi impossibile. Perché questo è pur sempre il Paese del Gattopardo dove si cambia tutto per non cambiare niente, del Dopoguerra che non finisce mai, delle mille storie che si ripetono sempre uguali a loro stesse. Per questo affermare oggi che il voto del 24 febbraio coincida davvero con la fine della Seconda repubblica è un azzardo che rischia di essere smentito dai fatti in men che non si dica. Ma qualcosa di importante negli ultimi giorni è accaduto e non è certo la ri-discesa in campo di Silvio Berlusconi, checché ne dicano l’Economist o i tedeschi. E’ Mario Monti la vera novità.

Detta così si fa fatica a crederci: l’uomo non appare certo un rivoluzionario e non ha nemmeno le phisique du role del grande statista. Passi che si presti, per il bene della Patria, a guidare un governo tecnico pro tempore, ma governare con il sostegno di una maggioranza politica è tutt’altra cosa. Poi di mezzo c’è una campagna elettorale, bisogna fare la voce grossa e la faccia cattiva per non farsi sbranare, non bastano  i suggerimenti zuppi di paternalismo. E poi come si fa a parlare di novità a guardare i vecchi arnesi che si agitano intorno al professore come scolaretti impazienti?

Eppure. Eppure l’ingresso di Monti in campagna elettorale cambia tutto. Perché alla fine significherà l’epilogo di un bipolarismo zoppo, forse arriverà a spazzare via davvero le categorie novecentesche di destra e sinistra e anche il berlusconismo che ha partorito la seconda disgraziata repubblica. Se sul piatto ci saranno i problemi reali – e adesso è più difficile nascondersi dietro slogan e sogni – la partita si dovrà per forza giocare tra conservatori e riformisti, quello che nelle democrazie occidentali avviene da almeno un paio di secoli. Se qualcuno oggi è in grado di imprimere una svolta alla storia, questo è Mario Monti. Non i Renzi, non i Grillo. Sono le circostanze storiche a determinare i grandi cambiamenti, non è solo questione di uomini e programmi.

Allora il quadro a cui eravamo abituati si scompone come quando si guarda attraverso un caleidoscopio. Vendola e Bersani diventano molto conservatori quando si tratta di mettere mano al mercato del lavoro, una riforma di vitale importanza per il futuro più giovani, non dei “padroni” come qualcuno vorrebbe fare credere. Conservatori in economia hanno dimostrato di essere anche i berluscones quando è stata ora di trasformare i proclami strombazzati ai quattro venti in atti concreti; conservatori veri lo sono stati quando, nascondendosi dietro il cattolicissimo principio di sussidiarietà, hanno tolto allo Stato per dare a consorterie di amici. Il caso della Lombardia del ciellino Formigoni è emblematico.

Ci limitiamo ai temi economici, perché la situazione si fa drammatica sui temi etici. Sui diritti civili un blocco cattolico potente e trasversale fa muro; la questione laica resta appannaggio dei Radicali, di Sel e di ciò che resta di Futuro e Libertà; una minoranza divisa che non avrà la forza di imporre il tema in campagna elettorale, quali che siano le coalizioni che andranno a comporsi.

Resta un dubbio: Monti è un conservatore o un riformista? Dipende, verrebbe da dire. Da lui stesso innanzitutto, dalla capacità che avrà nel persuadere gli italiani della bontà della sua Agenda e dal coraggio che avrà nell’affrontare le corporazioni che da 50 anni inchiodano il Paese, poi dalla maggioranza che si coalizzerà introno a lui. In caso di vittoria non ci saranno più scuse, solo responsabilità.

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