Firenze – Carcere sì, carcere no. O meglio, questione Sollicciano: raderlo al suolo e ricostruirlo del tutto, oppure approfittare degli 11 milioni di euro giunti dal Ministero per cercare di riqualificare la struttura? Falso problema, dice Massimo Lensi, Progetto Firenze, passato da radicale, da sempre in prima fila nelle battaglie per la modifica dell’approccio sistemico corrente alla questione carcere. Falso problema perché l’urgenza è talmente forte che nessuno può permettersi di aspettare un giorno. “Il problema va risolto subito – dice Lensi – senza indugi, a maggior ragione dopo parole del sindaco, Dario Nardella, che ha visto con i propri occhi le condizioni disumane in cui versano i detenuti e il personale di servizio a Sollicciano. Mi chiedo: se il sindaco avesse riscontrato una situazione così aberrante, sia sotto il profilo sanitario che strutturale, in un’altra comunità pubblica come un ospedale o una scuola, non sarebbe stato tenuto a chiuderla immediatamente? Ovviamente sì. Il carcere in vero non è di sua competenza, dipendendo direttamente dal ministero, però a fronte di una situazione come quella che ha riscontrato sarebbe auspicabile da parte sua l’inoltro di una richiesta urgente di chiusura immediata”.
Anche perché in ogni modo, visti i tempi italiani per quanto riguarda le opere pubbliche, potrebbero passare anni prima di realizzare la prospettata demolizione e ricostruzione di Sollicciano. E nel frattempo? I detenuti rimangono in balia di cimici, topi, blatte, con le infiltrazioni d’acqua causa pioggia, mentre cresce il disagio psichico e ambientale, con il deterioramento delle relazioni con il personale che conduce anche all’aumento delle aggressioni all’interno dell’istituto.
“In realtà, la proposta più concreta è stata fatta dal vicepresidente del Csm, David Ermini – continua Lensi – che ha posto l’accento sulla necessità di cambiare l’approccio stesso alle carceri, con la riproposizione dei piccoli istituti, più gestibili e più adatti a realizzare le attività finalizzate al reinserimento sociale dei detenuti. In altre parole, Ermini ha rilanciato la riforma Cartabia che, fra i vari punti, per condanne al di sotto dei 4 anni prevede pene diverse dalla carcerazione. Ciò significa l’immediata uscita dal carcere di qualche migliaio di persone, cosa che potrebbe cambiare nell’immediato il volto di alcuni istituti di pena, tra cui Sollicciano”.
Ma sarebbe possibile, in concreto, chiudere di punto in bianco un istituto come Sollicciano? “Intanto, è necessario diminuire il numero dei detenuti con l’introduzione, sia in fase processuale, sia in quella di esecuzione di pena, di robusti innesti di giustizia riparativa, una vera rivoluzione dell’esecuzione di pena – spiega Lensi – poi, se Sollicciano non è in grado di tenere in condizioni umane delle persone che scontano i loro debiti con la società, va chiuso. Subito! Senza attendere la risposta di tecnici ministeriali per chissà quali pareri su un carcere futuro che probabilmente rimarrà sulla carta per gli anni a venire. Si chiude Sollicciano e basta. I detenuti dovranno essere smistati in altri istituti. Che la cosa non sia semplice, non è in discussione. Ma non è neppure possibile vivere nelle condizioni illustrate dal sindaco stesso. Non solo è disumano per chi le subisce, ma è dannoso per tutti e aggrava i problemi di sicurezza della società. Il dibattito su demolizione e costruzione di un carcere nuovo non fa altro che spostare un problema che adesso è sotto gli occhi di tutti, come se, con un filo di ipocrisia buonista, si volesse così coltivare l’illusione di rimuoverlo dalla vista. L’edilizia carceraria come soluzione ai problemi della giustizia e della sicurezza è invece un sistema che si autoalimenta. Ha bisogno di detenuti per mantenersi e finisce per creare la figura del ‘delinquente specializzato’ come sosteneva Foucault. Senza dimenticare che, su questa scia, diventa facile virare verso un pericoloso sistema di privatizzazione dell’esecuzione penale, com’è accaduto in altri Paesi dove sul carcere si è consolidato un vero apparato economico industriale.” .
La riforma Cartabia, se mai fosse attuata, porrebbe dei primi argini a questa degenerazione? “È, anzi era, un buon punto di partenza. Ora, però, con le elezioni alle porte e il probabile cambio di guida al Ministero si ritorna punto e accapo. Il tentativo della riforma di umanizzare l’esecuzione di pena, guardando al forte nesso tra società e istituzioni è alla base di un tentativo nobile, che pungta davvero all’utile per società. Il vero problema, quello più profondo che sta alla base del problema carcere, è paradossalmente proprio la commistione fra il carattere punitivo della privazione della libertà e il compito attribuito alla carcerazione di procedere, attraverso un sistema di premialità, al reinserimento sociale”.
Il motivo del paradosso: “La caratteristica della premialità attribuito ai percorsi di reinserimento e rieducazione conduce il detenuto a mettere in conto la necessità, per proseguire il percorso intramurario, di utilizzare un sistema alternativo alla carcerazione sostenuto da un meccanismo di infantilizzazione, nella logica del “se fai il bravo ti premio”. Una logica che non aiuta né l’istituzione carcere, né la ricostruzione della personalità del reo, a maggior ragione se si considerano gli scarsi investimenti nell’area educativa. Infine, andrebbe potenziata la magistratura di Sorveglianza, il vero ponte tra istituto e società”.
Del resto, è anche da mettere in conto che in carcere si lavora sotto organico e spesso in condizioni impossibili. Tutto ciò produce non solo il crescere del disagio psichico che sfocia in quello psichiatrico, prova ne sia l’alto tasso di suicidi in carcere, ma anche la diffusissima situazione della recidiva criminale. “Attenzione. Il carcere in quanto tale non è legato al rischio di suicidio, che è e rimane legato alla storia dell’individuo – continua Lensi – Il disagio psichico nasce dalla privazione della libertà; i fattori ambientali amplificano a dismisura il disagio. Il sistema carcere predispone al suicidio, non ne è la causa diretta. La recidiva, infine, ha costi altissimi per la società – conclude Lensi – che continua a spendere soldi pubblici per sostenere un sistema punitivo-rieducativo del tutto inutile. Per questi motivi la proposta di Ermini è ragionevole. In un piccolo carcere si crea naturalmente quello spirito di comunità che difficilmente è riscontrabile nelle megastrutture. Uno spirito necessario a superare gli attuali modelli di carcerazione, nell’indirizzo della riforma Cartabia, e a rispettare l’art. 27 della nostra Costituzione nel solco di una civiltà giuridica che da Piero Calamandrei a oggi ha sempre visto nella persona detenuta prima la persona e poi il detenuto”.