Soldi delle tasse per l’80% a Roma, ma il 53% delle spese agli enti locali

Firenze – Un interessante studio della Cgia di Mestre potrebbe aprire un dibattito sulla “natura” amministrativo-istituzionale del nostro Paese. Lo studio riguarda la “ripartizione” delle entrate fiscali fra amministrazione centrale e enti locali. In buona sintesi, ciò che emerge è che in Italia l’80% del prelievo fiscale viene assorbito dal governo centrale, ma il 53% delle spese che riguardano i servizi ai cittadini rimane a carico degli enti locali, regioni , comuni e province.

I “conti” che la Cgia rende noti sono molto chiari: “Su un ammontare complessivo di 493,5 miliardi di euro di imposte dirette (Irpef, Ires, Irap, etc.), indirette (Iva, Imu, imposta di registro, etc.) e in conto capitale (imposta sulle successioni e donazioni, etc.) versate dagli italiani nel 2015, ben 389 miliardi (78,8 per cento del totale) sono stati incassati dall’Erario; 69,7 miliardi dalle Regioni (14,1 per cento del totale), 29,3 miliardi dai Comuni (5,9 per cento del totale); 4,1 miliardi dalle Province (0,8 per cento del totale) e altri 1,3 miliardi (0,3 per cento del totale) da altri enti locali (Asl, Consorzi di bonifica, Camere di Commercio, etc.)”.

Non solo, precisa la Cgia veneta, se si considerano i 218,5 miliardi di contributi sociali effettivi (previdenziali + assicurativi) pagati dagli italiani, la Pubblica amministrazione “incassa complessivamente 712,1 miliardi di euro”.

Di fatto dunque, come commenta il responsabile dell’Ufficio studi dell’associazione Paolo Zabeo, dopo 25 anni di riforme non possiamo più dirci un Paese “unitario”, ma neppure “federale”: “Se sul fronte fiscale la quasi totalità del gettito tributario finisce nelle casse dello Stato centrale, gran parte della spesa, al netto degli interessi sul debito pubblico e della previdenza, viene gestita dalle Amministrazioni locali – ribadisce Zabeo –  dei 432 miliardi di spesa pubblica al netto di interessi e previdenza, il 53 per cento è in capo a Regioni, Province e Comuni. Insomma, la quasi totalità delle nostre tasse finisce a Roma, ma oltre la metà della spesa viene amministrata da Regioni e autonomie locali”.

Se poi si segue l’analisi della Cgia di Mestre sul gettito tributario per singolo livello di governo, troviamo una composizione molto articolata: sui 389 miliardi di euro di imposte che lo Stato centrale incassa dai contribuenti italiani, 154,8 miliardi sono riferiti al gettito Irpef, 94,7 miliardi all’Iva, 30,5 miliardi all’Ires e 24,3 miliardi all’imposta sugli oli minerali.

Le Regioni, invece, hanno come gettito principale l’ Irap pari a 28,1 miliardi di euro, l’ Irpef che ha pesato sui contribuenti per 11,5 miliardi di euro e l’addizionale regionale Irpef, pari a 11,3 miliardi.
I Comuni, infine, nel 2015 si sono “appoggiati” su 16,8 miliardi di gettito Imu, su 4,7 miliardi di Tasi e su 4,4 miliardi dall’addizionale comunale Irpef.

E’ vero anche che il blocco degli aumenti introdotto dal Governo Renzi nella legge di Stabilità 2016 ha permesso alle tasse locali di non aumentare, anzi, come scrive la Cgia di Mestre, “le tasse locali quest’anno hanno subìto una diminuzione a seguito dell’abolizione della Tasi sulle abitazioni principali, dell’Imu sugli imbullonati, dell’Irap sulle aziende agricole e sul costo del lavoro”.

Ma, dice ancora la Cgia , “questa fotografia sulla distribuzione delle entrate non racconta l’evoluzione dei rapporti tra Centro e Periferia negli ultimi”.
Infatti, non emergono i tagli subiti, ad esempio dai Comuni, fra il 2010 e il 2015, che nel complesso riguardano trasferimenti da parte dello Stato centrale pari a 11,9 miliardi in meno. E cosa è successo? Per mantenere in piedi servizi alla popolazione e salvaguardare i bilanci, i sindaci hanno aumentato le tasse locali di 11,3 miliardi. Dunque, dice la Cgia veneta, da tutto ciò ne è uscito uno Stato centrale più virtuoso, che ha tagliato le uscite,  i Comuni ci hanno “rimesso” 600 milioni di euro, i cittadini e le imprese “hanno dovuto compensare i mancati trasferimenti subendo un fortissimo aumento dei tributi locali”. Alla fine del giro, insomma, a rimetterci davvero sono stati i soliti noti.

 

 

 

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