Firenze – La Toscana si avvia ad una nuova configurazione dell’assetto sociosanitario nel nome dell’integrazione dei servizi. “Un’esigenza assoluta – così l’ha definita l’assessore al Welfare della Regione Toscana Stefania Saccardi in occasione del convegno di presentazione del nuovo piano – per un territorio vasto come il nostro, dove alcune Società della Salute hanno funzionato molto bene, altre meno”. Al via dunque un più stretto e omogeneo affiancamento dell’assistenza sanitaria e di quella sociale, affinché il momento della cura in senso stretto sia meglio preceduto e seguito da quello della cura in senso lato.
I 280 Comuni toscani andranno incontro ad una gestione a livello di zona distretto, così che la Regione risulterà suddivisa in 34 zone, in cui i comuni di appartenenza gestiranno il sociale in forma associata. “Ci stiamo attrezzando attraverso convenzioni tra aziende sanitarie e Comuni, affinché i cittadini abbiano un percorso di presa in carico davvero integrato e non debbano suddividere i loro bisogni tra sanità e sociale”, ha dichiarato l’assessore. Il cittadino sarà quindi al centro dei servizi, in un contesto territoriale in cui anche il più piccolo comune, per quanto non obbligato dalla normativa nazionale ad una gestione associata dei servizi socio assistenziali, sarà posto nelle condizioni di andarvi incontro.
Cosa cambierà concretamente? “La Regione avrà 34 interlocutori e non 280 – spiega il consigliere regionale Simone Naldoni – mentre il cittadino abitante di un qualsiasi comune, godrà dei benefici dell’appartenere a un’organizzazione molto più vasta, con assistenti sociali, dirigenti, finanziamenti, cassa”. Già, la fluidità. Chiarito che non vi sarà vincolo coercitivo all’applicazione della nuova normativa, la riforma prevede che i Comuni, per attivare le risorse, dovranno avere una programmazione unitaria e coordinata con l’azienda sanitaria. “Se un comune non lo fa – prosegue Naldoni – non prende i soldi e spenderà i propri. La Regione del resto non può obbligare, può solo fortemente incentivare”. E c’è da credere che non dovrà spendersi troppo in inviti.
I tempi? Una scadenza, intanto: il 31 dicembre, termine utile per creare convenzioni o rinnovare il patto che sta dentro la Società della salute, ormai non più modello di riferimento. “L’obiettivo della legge – chiarisce Naldoni – è di avere, entro questa scadenza, un sistema convergente sulla gestione associata e sulla convenzione tra sociale e sanitario, perché è ciò che serve oggi ai cittadini. Stiamo andando sempre più verso ospedali a intensità di cura (dove quindi si sta il minimo indispensabile), ma prima e dopo c’è bisogno del territorio, con posti letto dedicati (cosiddetti a bassa intensità di cura) e con l’assistenza domiciliare, la presa in carico totale – che non è solo sanitaria – perché ora la salute si fa si con i medicinali e le cure, ma anche con corretti stili di vita. Il comparto socio assistenziale dei comuni può intervenire in maniera significativa per far guadagnare salute, anni di vita di qualità. Questo è l’obiettivo vero”.
Non si parla dunque di accesso facilitato alle strutture o di ritmi più serrati di assistenza, ma di presa in carico integrata del paziente. “Le strutture può darsi anche che non servano. Qui si parla di un’infrastruttura, perché c’è il medico dentro le Case della salute con infermieri e parte assistenziale sotto un profilo medico; poi c’è tutta una parte sociale che è indispensabile per mantenere in buone condizioni di salute il malato cronico. Non è più tempo di malattie infettive, ora l’emergenza è mantenere il livello di buona salute nel tempo. E per far questo c’è bisogno di un set di servizi assistenziali che non possono essere forniti soltanto con una risposta di tipo medico, ma anche di tipo sociale”.