Firenze – «Il mio percorso di vita ruota intorno al termine “impossibile”. E poi viene il “quasi”». Detto così viene da pensare che non sia stata una vita facile, la sua. E in effetti Simone Moro, l’alpinista che detiene il record del maggior numero di scalate invernali sugli ottomila metri, sa mettere insieme la grande sofferenza che si stampa in volto quando si devono raggiungere alte vette in condizioni estreme, e… la felicità.
Simone Moro, fra una montagna e l’altra, è passato da qui. Dal Baglioni Hotel di Firenze, in occasione dell’evento organizzato da Fineco bank, suo sponsor decennale: Esiste solo il quasi impossibile. Sottotitolo: Non smettere mai di sognare e di tentare ciò che viene considerato impossibile. Sport e mondo della finanza per un po’ sono stati accanto per indagare su un concetto apparentemente misterioso e primordiale che appartiene ad entrambi: la sfida. In effetti quella di Simone è stata una vera e propria missione impossibile. “Non sono nato a Cortina, né a Canazei, dove si respira l’alpinismo come logica attività. No, sono di Bergamo”. Da lì alle Dolomiti ci si arriva in pulman, e a Bergamo la tradizione è quella di pedalare, non di scalare. Eppure questo bambino, figlio di un impiegato di banca, non ha mai smesso di sognare la montagna. Oggi Simone, quasi cinquantenne, ha al suo attivo 55 spedizioni (la prima nel ’92), ha scritto otto libri, possiede un numero imprecisato di elicotteri che prestano soccorso in Nepal e, che lo voglia o no, è una star.
Fra tutto quello che poteva scegliere ha voluto cimentarsi nelle cose più difficili: ottomila metri; nel periodo invernale; scalare vette che nessun altro gigante dell’alpinismo aveva mai scalato. Ad esempio il Nanga Parbat, in Pakistan, nona montagna più alta della terra: il Monte Bianco ci sta dentro ben 40 volte, ed è soprannominata la “montagna assassina”. Aveva il 10% di possibilità di farcela. E ce l’ha fatta. Animato da quella forza occulta che raramente si trova nei comuni mortali, ma che quando si accende fa nascere i grandi innovatori.
Il giovane Simone aveva tutti contro. I professori “ammazzasogni” come li definisce lui, che quando diceva: “Voglio diventare come Messner” rispondevano: “Abbiamo uno studente scemo”. Perfino l’impiegato dell’anagrafe. Che quando Simone fece la sua prima carta d’identità chiedendo con piglio deciso di scrivere professione alpinista, quello lo guardò con aria incredula da sopra gli occhiali dicendo: “E che cavolo di professione è?”. Tutti dicevano: “impossibile”. Ma non mamma e papà. Loro lo consigliavano di preparare la propria “cassetta degli attrezzi” per realizzare il sogno. Simone così ha fatto. “Ho provato a trasformare in possibile il quasi impossibile attraverso un percorso”. Progetta, struttura, impara dai grandi maestri, parte per una destinazione. Mai in solitaria, ma con una solida squadra. Sa anche tornare indietro sconfitto se necessario. Dietro le spalle dell’innamoramento di un sogno sta tutta questa immane fatica. E ci sta pure quella cosa tanto difficile da raggiungere che si chiama felicità: “Le squadre migliori sono quelle felici; le aziende migliori sono quelle felici”. E qui si riallaccia quel filo sottile che secondo Simone può legare lo sport, il mondo reale, l’imprenditoria, il business, la finanza… Anche se a ben guardare quello della finanza, negli ultimi anni, di mondi felici ne ha creati ben pochi.
Foto: particolare tratto dal primo libro di Simone Moro, “Cometa sull’Annapurna”, edito da Corbaccio, la Gazzetta dello Sport