La vicenda Silk Faw, partita tre anni fa con le fanfare, si è chiusa mestamente. Certamente il sindaco di Reggio Emilia ha fatto una brutta figura, ma la brutta figura la fa anche tutta la città, che per mesi ha plaudito in tutte le sue componenti, dai partiti di opposizione alle associazioni, al megaprogetto sino-americano, in realtá molto cinese e poco americano.
Chi si è opposto dall’estrema sinistra, ad esempio, lo ha fatto solo sulla base di motivazioni ambientaliste. Le opposizioni di centro-destra sono state a lungo silenti, si sono smarcate ampiamente fuori tempo massimo. I 5S, memori dell’adesione del governo Conte-Salvini (unico governo occidentale) al piano di penetrazione cinese nel mondo noto come “Via della Seta”, gli hanno strizzato l’occhiolino, addirittura l’unico esponente governativo corso a Reggio a sdoganare il progetto Silk Faw é stato il grillino Manlio Di Stefano.
Il sindaco di Reggio ha perfino qualche attenuante: il progetto era sponsorizzato da Confindustria (Parigi val bene una messa e gli yuan del turbo capitalismo rosso Made in China valgono bene la chiusura di entrambi gli occhi sulla brutalità del regime di Xi Jinping, con tanti saluti ai princìpi liberali) ed era benedetto da Prodi. Ci lavorava Eugenio Sidoli, uomo Philip Morris, la multinazionale USA che ha aperto una importante filiale nel bolognese, e Krane, per le sue esperienze pregresse, appariva tutt’altro che un “cazzaro”.
La sede alle Cayman delle sue società è un fatto eticamente discutibile, ma è abbastanza normale per le finanziarie americane essere domiciliate nel paradiso fiscale caraibico, a maggiore ragione se uno dei tuoi soci è impresentabile perché di fatto fa riferimento a una mega azienda di stato di Pechino. L’errore da matita blu del sindaco è stato quello di dichiarare “non mi interessa la geopolitica”, come per altro importa ben poco agli altri attori della città.
Ma bastava appunto conoscere i rudimenti della geopolitica, non serviva la laurea ad Harvard, per sapere che i progetti di insediamento cinesi in Europa nei settori a tecnologia avanzata sono fortemente mal visti sia dall’Unione Europea che dagli Americani. Perché quella cinese è una spietata dittatura che ha in spregio totale la democrazia e i diritti umani, sostiene Putin, l’Iran e i Talebani, reprime gli Uiguri, opprime il Tibet, ha soffocato la democrazia a Hong Kong, vuole invadere Taiwan, celebra il massacro di Tien An Men come una “grande vittoria rivoluzionaria” ed è destinata a diventare una minaccia economica, politica e militare per l’Occidente domani mattina, non tra 20 anni.
L’invasione russa dell’Ucraina ha fatto il resto, con Pechino impegnata a sponsorizzare le sanguinarie ambizioni imperiali del despota di Mosca. Ma soprattutto c’è la vicinanza ideologica tra il nostro territorio, che qualche nostalgico celebra come “l’ultima provincia filosovietica dell’impero”, e i nipotini di Mao. Va beh che abbiamo ancora il busto di Lenin in piazza e non in discarica, ma è possibile che in piazza Prampolini e dintorni nessuno abbia mai sollevato il problema dell’ incompatibilità geopolitica tra l’Emilia e un investimento cinese da 1,5 miliardi di euro? E’ un caso che i Cinesi scelgano proprio Reggio, una delle pochissime città in Italia che non abbiano mai illuminato un edificio con i colori dell’Ucraina?
E’ un caso che questa sia la stessa città in cui, se tre esaltati organizzano un demenziale concertino che odora di apologia delle BR, partano le raccolte firme non di condanna ma di solidarietà per gli organizzatori della pagliacciata canora? Alla fine i Cinesi se ne torneranno a casa con quello che volevano, cioè un po’ di know-how in più in un settore strategico come quello dei veicoli elettrici, e la città di Reggio non avrà il premio Nobel per la Pace per avere riavvicinato Americani e Cinesi, come maldestramente sognava Prodi. L’appeasement con gli emissari di Xi Jinping non ha pagato.
Al contrario, Reggio rimedia una figura barbina, come quella dell’Americano a Roma che credeva di comprare il Colosseo e si è ritrovato con meno soldi in tasca e un pugno di mosche in mano.