Sicurezza e lavoro, il giurista: “La forza contro i diritti”

Firenze – Parlamentari e sindacalisti di due sindacati confederali (Cgil e Uil), vengono atterrati da una carica di polizia e portati all’ospedale. E’ successo martedì, a Roma, nel corso di un presidio di una cinquantina di lavoratori davanti alla sede di Roma Metropolitane, una società pubblica.

I lavoratori protestavano per i tagli in arrivo. Sotto la carica finiscono all’ospedale, insieme a un lavoratore, Stefano Fassina capogruppo alla Camera di Leu, il  segretario della Fp Cgil Roma e Lazio, Natale Di Cola, e il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio, Alberto Civica.

Partendo dalla cronaca , cogliamo l’occasione di chiedere un parere e una ricostruzione del mondo dei diritti del lavoro, e dell’impatto dei decreti sicurezza su di esso a Danilo Conte, dello studio legale Conte-Martini-Ranfagni di Firenze, fondatore della rivista e gruppo di ricerca Diritti e Lavoro.

“Mi stupisce fino a un certo punto, nel senso che negli ultimi mesi è stato legittimato l’uso della forza per far fronte della rivendicazione dei diritti. Colgo un collegamento con l’uso della forza per contrastare il salvataggio di vite umane nel Mediterraneo. Si  è legittimato l’uso della forza a fronte della rivendicazione dei diritti: il diritto alla vita da un lato, i diritti sociali dall’altro. Il tutto in nome di una legalità presupposta, formale, fondata su atti legislativi e amministrativi in contrasto con l’ordine costituzionale. Questo è accaduto, secondo me, ieri  a Roma. E questo accade frequentemente”.

D. Che parte hanno secondo lei i Decreti sicurezza in questa che appare una vera e propria svolta culturale nel nostro Paese?

R. “Premetto che può sembrare un’affermazione forte che provvederò a motivare, ma ritengo che i decreti sicurezza costituiscano una sorta di braccio armato dei provvedimenti di carattere economico-sociale che sono stati approvati negli anni scorsi. Una sorta di conseguenza estrema delle riforme di carattere economico e nel mondo del lavoro. L’approvazione  del collegato lavoro, della legge Fornero, del Jobs Act, vale a dire le tre più grosse riforme degli ultimi anni, smantellano l’apparato dei diritti come noi l’abbiamo conosciuto, in primis con lo Statuto dei Lavoratori (1970). Se noi dovessimo mettere su un grafico la parabola delle leggi che hanno sostenuto l’apparato dei diritti che hanno costituito il sistema lavoro e sociale della nostra Repubblica, si può disegnare una linea che si sviluppa nei primi anni ’60, prosegue con circa un ventennio di sviluppo, in cui fra gli anni ’60 e ’70 la parabola sale, sta ferma negli anni ’80, per poi iniziare a declinare negli anni ’90 fino a precipitare con la legge Fornero, il Jobs Act ma anche prima col collegato lavoro, la cosiddetta Legge Biagi che in realtà è la legge Maroni, che prendeva solo spunto da alcune riflessioni del professor Biagi. Sola eccezione, facendo un’analisi da studioso del diritto del lavoro, la legge Turco,  che introdusse i congedi parentali, estendendoli anche agli uomini. A metà anni ’90 avevamo già avuto  la legge Treu che aumentava il precariato, emanata dal centrosinistra che introdusse i contratti interinali, poi si arriva agli ultimi provvedimenti, con una vera e propria destrutturazione del mondo dei diritti. Negli anni ’90 abbiamo i primi segnali con le proposte di riforma dell’art. 18, Berlusconi ci prova ma scendono  in piazza un milione di persone. Poi l’attacco ai diritti non trova più ostacoli: la legge Maroni, il collegato lavoro di Berlusconi, le leggi Brunetta sul Pubblco Impiego ed ecco arrivare agli ultimi gradini, la legge Fornero e il Jobs Act.

D. Dunque è attraverso queste tappe, che secondo lei si compie la destrutturazione del mondo dei diritti?

R. “Nel settore del lavoro, il mondo dei diritti è raso al suolo. Giunti a un certo punto, diventa ovvia un’altra preoccupazione: bisogna avere in mano strumenti adatti al cosiddetto nuovo ordine. E’ questo il senso della definizione che ho dato all’inizio: i decreti sicurezza, la stretta sull’ordine pubblico, costituiscono una sorta di braccio armato di quelle politiche. Creando disoccupazione, precariato, disagio, si ha bisogno di governarlo e controllarlo. Non con gli strumenti della mediazione sociale, è qui la grande svolta culturale ed economica, del dialogo con i sindacati e con i lavoratori, ma con le forze dell’ordine, perché di questo stiamo parlando, riferendoci ai decreti sicurezza nella parte che ci riguarda. Si tratta di strumenti di ordine pubblico a difesa del fortino dei vincenti. I decreti sicurezza secondo me intervengono come logica conseguenza rientrando in quel disegno: non intervengono direttamente sul mondo dei diritti sociali ma intervengono pesantemente sui diritti politici su forme di protesta, ritenute intollerabili.

D. Quindi anche 50 persone in presidio pacifico, a livello giuridico, possono essere oggetto di intervento muscolare?

R. “Per questo parlo di braccio armato. Andiamo a fare qualche esempio. Prendiamo il Daspo urbano, presente nel primo Decreto sicurezza, quello che, per un gioco del destino, reca il numero 113. Chiariamo un punto: il daspo viene introdotto in Italia, come provvedimento che riguarda solo gli ultras, dalla legge Pisanu. Era un provvedimento che aveva una sua logica limitata nel mondo dello sport, cioè, chi continuava ad andare allo stadio e invece di vedere la partita saccheggiava, vandalizzava e faceva a botte, era oggetto di un intervento chirurgico: anziché ricorrere al carcere, intanto, come azione preventiva per il fatto in sé, veniva interdetto dallo stadio. Il ministro dell’interno Minniti introduce invece il Daspo urbano, che riguarda coloro i quali in una serie di luoghi della città (quindi non più limitato allo stadio) impediscono la fruibilità e l’accesso di alcuni luoghi pubblici.

D. In che consiste il cambiamento?

R. Attenzione, il focus si sposta, si parla di “accessibilità e fruizione”, non si sta più parlando di chi sta andando armato di spranghe allo stadio. La norma diventa molto generica, prestandosi così ad un’ampia dicrezionalità intepretativa. Quindi, chi staziona davanti  a stazioni metropolitane, fermate di linea ecc, “impedendone l’accesso e la fruizione”, viene fatto oggetto di un provvedimento di allontanamento o da quei luoghi o dalla città. E’ una norma che, nelle sue applicazioni, rischia di venire utilizzata per chiunque si fermi magari per un sit-in o un presidi. La norma è talmente generica (come si definisce la “fruizione”?) che si presta a qualsiasi interpretazione. Si tratta dell’art. 9 del decreto legge n. 14 del 2017. Questo è il provvedimento del ministro Minniti, cui il ministro Salvini aggiunge altre specificazioni. Ecco l’elenco dei luoghi “interdetti” nell’ultima formulazione: aree interne delle infrastrutture fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime, di trasporto pubblico locale, urbane, extraurbane e le relative pertinenze. Si aggiungono: presidi sanitari, scuole, plessi scolastici, siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali e altri istituti e luoghi della cultura, comunque interessati da flussi turistici”..

D. A Firenze dunque, è possibile impedire sit in o presidi di fatto ovunque?

R. “Un momento: il Daspo urbano è applicabile anche in altri luoghi: aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, o comunque adibite a verde pubblico”.

D. In pratica, copre tutta la città. Ma non è configurabile un lesione al diritto di esprimere le proprie idee, anche con manifestazioni, presidi, sit-in … insomma, gli strumenti democratici di manifestazione anche del dissenso, che è esercizio di democrazia?

R. “C’è il diritto di associarsi, di riunirsi, di stare insieme, di parlare, di criticare, di protestare . la fattispecie descritta, “impedisce l’accessibilità e la fruizione”,  è tutto e niente, se si staziona in tre qualcuno può dire che non riesce a passare, viene meno l’accessibilità e la fruizione,  ed è già consumata la fattispecie”.

D. La sanzione?

R. “La persona viene fatta oggetto di allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto. Non è sanzionata penalmente però è oggetto di allontanamento che può essere esteso alla città, che magari è la città in cui lavori. Il primo caso a Firenze di Daspo urbano fu conseguente all’applicazione delle zone rosse, che poi il Tar anullò: la signora che venne fatta allontanare stava ferma aspettando il tram, per andare a lavorare. Ma c’è di più e riguarda una circolare del 14 febbraio 2019, del capo di gabinetto del ministero dell’interno (a quell’epoca Matteo Salvini), la numero 10538 del 14 febbraio 2019, che però è introvabile. Sul sito del ministero non c’è e sulla questione è uscito anche un saggio di commento in cui in nota si legge che la circolare non “risulta pubblicata sul sito del ministero e non è reperibile in rete”.

D. Ma si conoscono i contenuti.

R. Sì, si conoscono i contenuti: consente ai prefetti di sostituirsi ai sindaci nelle ipotesi di inerzia di questi a tutela dell’ordine pubblico. In pratica, tramite un’ordinanza viene consentito di sostituire un organo democraticamente eletto con uno che non lo è. Pur non avendo il testo, la circolare è talmente operativa che, in virtù di essa, c’è stato il provvedimento del prefetto di Siracusa (decaduto ieri, era fino al 30 settembre) che ha vietato nel periodo estivo qualsiasi forma di manifestazione o di corteo in una zona di snodo importante della città di Siracusa in vista dell’arrivo dei turisti nell’estate. “Assumono ulteriori profili di criticità per l’ordine e la sicurezza pubblica in considerazione dell’ormai avviata stagione primavera-estate”, si legge nell’ordinanza che richiama la circolare diramata dal capo di gabinetto del ministero degli interni “Provvede a evitare assembramenti di persone e automezzi per evitare ritardi nelle forniture di carburante ai porti e agli aeroporti, il rischio per la sicurezza degli impianti che richiedono costante manutenzione e il diritto alla libertà d’impresa”. Di fatto per 4 mesi è stato annullato il diritto di manifestare”.

D. La domanda è davvero spontanea: perché secondo lei tutto ciò non è oggetto di dibattito pubblico?

R. “Primo punto: oggi non esistono soggetti collettivi di opposizione forti. La disinformazione è stupefacente. Un esempio, è l’art.18, su cui ancora molti lavoratori mi chiedono se, vincendo la causa di lavoro, si ottiene la reintegra. L’art. 18, ovvero la possibilità di riottenere il posto di lavoro, è stato tolto definitivamente dal Jobs Act per gli assunti dal 2015, ma la Fornero lo aveva già modificato per tutti i lavoratori italiani. La reintegra è demandata solo ad alcune  ipotesi di illegittimità, altrimenti vale l’indennizzo economico. Insomma, le ipotesi di reintegra sono minime. E questo la gente non lo sa ancora.

D. Il punto quindi è anche trovare i soggetti che si fanno carico dell’informazione presso i lavoratori.

R. “Si è così.  Fino a qualche anno fa di precariato non se ne parlava proprio. Ora almeno si sa che la tematica esiste anche se il legislatore non è intervenuto con correttivi sufficienti.  Salvo alcuni studi come il bel saggio di Marta Fana ed altri, non è stata ancora  fatta un’analisi completa e definitiva degli effetti collaterali del precariato. Arrivare a capire che il precariato è un problema perché non si ha un posto di lavoro stabile è cosa nota a tutti. Ma ci sono poi tutta una serie di corollari che non sono stati indagati, fra cui il processo di desindicalizzazione che ha portato il precariato, che per definizione ostacola la presa di coscienza e la lotta per i diritti, in primo luogo, per non indispettire il datore di lavoro , in secondo luogo perché il lavoratore non si sente di casa in quell’azienda e quindi, perché creare dei legami di “lotta”, quando domani starà nell’azienda y e non più nell’azienda x o nell’azienda z? Se oggi il lavoratore resta in un luogo e due mesi dopo in un altro riesce difficile acquisire coscienza del proprio ruolo e pensare a organizzarsi . Gli effetti indotti del precariato sulla desindacalizzazione comportano la perdita della coscienza dei diritti. Un effetto che non è mai stato misurato”.

D. Altri esempi di come il decreto sicurezza può limitare la battaglia dei lavoratori?

R. “Il decreto sicurezza ne è costellato. Ad esempio, le disposizioni in materia di blocco stradale., art.23 del decreto sicurezza 113. “Chiunque impedisce e ostacola la libera circolazione con congegni o  qualsiasi altro oggetto di qualsiasi specie è punito con la reclusione da uno a sei anni. La pena è raddoppiata se il fatto è commesso da più persone”. Ed ecco la ricaduta sulle manifestazioni. Se durante una qualsiasi manifestazione autorizzata in cui abbiamo concordato il percorso con la questura, anche solo due persone per errore, in buona fede o no, escono dal percorso mettendosi all’angolo in una strada con un cartellone o uno striscione possono essere condannati  da uno a sei anni. E’ vero, dovevano stare nel percorso, ma … da uno a sei anni di reclusione? Sono, secondo me, pene deterrenti. Nel decreto sicurezza bis è contenuta una regola che già esisteva, secondo cui “chiunque (…) cagiona un’interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico è punito con la reclusione fino a un anno” (modifica l’art.340 del codice penale ed è introdotto dall’art.7 comma 1 del decreto sicurezza bis, ovvero il 53/2019).

D. Concretamente quali sono gli effetti

R. Immaginiamo un’irruzione, un blitz di lavoratori per protestare o chiedere un incontro, magari fino ad allora negato in un ufficio pubblico. Il decreto bis inserisce: “Quando la condotta è posta in essere nel corso di manifestazioni, si applica la reclusione fino a due anni”. Da notare l’assenza di qualsiasi riferimento a danni, a cose o persone: si sta parlando di chi cagiona un’interruzione o “turba” un servizio pubblico. Un’altra norma per impedire il diritto a protestare. Insomma, è molto importante per i lavoratori e le lavoratrici e per tutti essere informati e consapevoli del livello di limitazione delle libertà cui siamo giunti”.

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