Dublino – Prossimo a un breve soggiorno in Irlanda per questioni lavorative, scopro che sarò presente nella terra dei leprecauni contemporaneamente al referendum sui matrimoni gay. Un evento chiamato a fare storia: se è vero infatti che già 21 paesi al Mondo hanno legalizzato i matrimoni tra omosessuali, l’Irlanda è il primo a decretarlo con referendum popolare, e non percorrendo la sola via parlamentare.
Conscio della portata storica dell’evento, mi imbarco verso l’Irlanda pensando di trovarmi di fronte situazioni da tregenda: manifestazioni, risse ai seggi, sermoni con il megafono, banchini attrezzati di volantini spille e adesivi per urlare il perché di “si” o di un “no”, orde di famiglie da Mulino Bianco da una parte, coppie homo e lesbo dall’altra. Questo è ciò che mi aspettavo.
Perché questo è ciò che probabilmente mi sarei aspettato ovunque, forte degli esempi che la quotidianità italiana mi fornisce da sempre. Ciò che invece mi trovo di fronte è semplicemente il nulla. Tranquillità, placiditá, tolleranza e buon senso. Sui giornali locali non ci sono titoli sensazionali a nove colonne, in tv la notizia passa per ciò che è senza monopolizzare le scalette dei tg o le trasmissioni, per strada non si avvertono manifestazioni promozionali di alcun genere verso nessuna delle due opzioni al servizio del popolo irlandese.
Il massimo della propaganda sono dei semplici manifesti attaccati ai pali della luce sui marciapiedi – mentre i muri sono tappezzati solo dei manifesti legati a eventi culturali, musicali o sportivi previsti di lì a poco nel Paese – in prossimità dei seggi nessuna calca. Le persone indossano sul petto un piccolo adesivo circolare, del diametro di un anello, con su scritto se voteranno “si” o “no”. La sera, in un locale zeppo di giovani, una band suona famosi brani rock, e interagendo col pubblico presente chiede una sola volta dei matrimoni gay. Simpaticamente, senza battute scabroso. Insomma, un Paese civile. In tutto e per tutto. Un Paese dal quale forse oggi possiamo trarre una lezione. Ah già, obliavo: hanno vinto i “si”. E non poteva essere altrimenti, nel 2015.