E' proprio vero che l'acquisto fatto di fretta, magari in un centro commerciale, è ormai la modalità più diffusa di shopping? Vedendo i dati diffusi proprio in questi giorni da Cna Toscana, sembrerebbe di sì: calano gli artigiani, le piccole botteghe soffrono e per quanto riguarda le imprese artigianali, nel 2013 in Toscana hanno chiuso i battenti al ritmo di 8 al giorno.
A Stamp, però non risulta che la fotografia dei dati solo economici aderisca in modo perfetto alla realtà, perché girovagando fra fiorentini rassegnati, piccoli esercizi che faticano ogni giorno per rimanere aperti, mercati (quelli non in guerra) e tante sfaccettate realtà, si capta nell’aria una voglia diffusa che riguarda anche la qualità della vita.
La gente che dopo la guerra si era rimboccata le maniche aveva con fatica trovato un equilibrio e, specialmente nelle città, lavoro e vita erano andati migliorando con maggiori soddisfazioni e miglioramenti della qualità di entrambi.
“Facciamo un esempio – spiega Giovanni, titolare di un piccolo negozio di alimentari a Firenze nord – un tempo aprire un piccolo negozio che permettesse di avere un’ entrata dignitosa, era un obiettivo facilmente raggiungibile: bastava trovare un canone d’affitto non troppo esoso, individuare le necessità di un determinato quartiere, avere un adeguato retrobottega e aver voglia di lavorare e di mettersi al servizio della propria clientela”. Non solo, un esercizio come il suo diventava anche occasione di socialità: “Le donne di casa venivano a far spesa ogni giorno, si incontravano qui ma anche nella macelleria di fronte, dal fruttivendolo o dal parrucchiere, nascevano pettegolezzi di quartiere ma anche amicizie”. Insomma, il “bottegaio” diventava il confidente di gioie e dolori quotidiani e i quartieri delle città erano come piccoli “borghi”.
Ma il mondo è cambiato: superati gli anni ’70 quello stile di vita è andato via via scomparendo, lasciando il posto ad una galoppante tecnologia, le amicizie si allargano diventando virtuali e gli acquisti si fanno sul web o in grandi centri commerciali tutti uguali in ogni parte del globo.
“Il negozio, come impresa individuale, quindi è morto o quasi, soffocato da affitti non sostenibili, adempimenti burocratici spesso assurdi, tasse superiori alle entrate e retaggi di ideali politici che hanno fatto passare il messaggio “commerciante uguale ladro uguale borghese da combattere – s'infervora Daniela, lavoratrice “intellettuale” come si definisce, titolare di una piccola libreria fra Scandicci e Firenze – il sistema si è inceppato lasciando spazio al messaggio che “grande è bello e risparmioso”, dove per risparmio non si intende solo quello economico ma anche quello di tempo, quel tempo che oggi pare non bastare mai ai continui bisogni che crediamo di avere”.
Da qualche tempo però la tendenza a vivere “slow”, a prendere tutto con più calma, pare interessare non solo gruppi ristretti di “resistenza” alla corsa continua, ma un sempre più ampio gruppo di persone. Fenomeni che riguardano le piccole attività alla persona, commercio, alimentazione che si sviluppano a macchia d’olio, a dimostrazione che la società ha altre esigenze e sta cercando altri sbocchi. E così, mentre anche nella nostra Regione si continuano a costruire grandi centri commerciali, a gettare cemento in aree non urbane per creare uffici e magazzini che resteranno immancabilmente vuoti e destinati all’oblio, ci sono persone che son tornate a lavorare in casa come accadeva negli anni ’60 e ’70.
Persone che sono state costrette a chiudere la loro attività per i motivi di cui abbiamo sopra parlato o perché la crisi ha diminuito la clientela e la liberalizzazione delle licenze ha permesso che un grande del settore aprisse il proprio scintillante punto vendita accanto al loro.
Così oggi sono sempre di più i commercianti che, rischiando, si organizzano e lavorano in casa o andando a domicilio. Parrucchieri, estetiste, cuochi ma anche venditori di abbigliamento stanno crescendo “Perché – come ci racconta Elena, parrucchiera a domicilio – la quantità delle mie clienti non mi permetterebbe di tenere aperto un negozio mentre lavorando a domicilio così riesco a fare la spesa e a dar da mangiare alla mia bambina”
“Prima avevo un mio negozio – continua Elena – ma l’affitto era alto, ero obbligata a pagare un commercialista perché tenesse la contabilità, avevo bisogno di una dipendente che mi costava tantissimo in termini di tasse e contributi, poi c’erano le bollette e quando mi hanno detto che avrei dovuto rifare il bagno a norma, visto che ormai erano mesi che non riuscivo più a togliere per me più di 200,00 euro al mese, ho fatto due conti e mi son detta che chiudendo avrei almeno avuto un vantaggio: stare di più con mia figlia e non solo la domenica”
In questo “passo indietro” del commercio c’è da segnalare anche un altro ritorno al passato che sta sempre più prendendo campo: ne sanno qualcosa le aziende che da sempre si servono di venditori “porta a porta”, che creano occasioni di incontro. Amway, Avon, Juice Plus, Yvres Roches sono solo alcuni dei marchi che stanno vivendo un momento felice grazie alla crisi e, al loro sistema, si stanno adeguando altre aziende e gli stessi venditori in casa.
La gente, dopo un primo momento di diffidenza, pare ritrovare il gusto del ritrovarsi e di nel fare “salotto”.
“Se andiamo in un negozio oggi, spesso troviamo commessi frettolosi che si dimenticano di te se solo mostri indecisione sull’acquisto, ti seguono per un tempo limitato come se ci fosse un tempo stabilito da dedicare ad ogni cliente – ci dice una venditrice porta a porta – e spesso non sanno dirti niente su cosa stai effettivamente comprando, di che materiale è fatto o quali sono i componenti. In una riunione in casa, invece, la gente abbandona presto la diffidenza iniziale perché trova risposte, preparazione, può fare le proprie scelte con calma e si instaura con il venditore, e tutti i presenti ,un rapporto, quel rapporto che oggi non trovi più in un negozio e tantomeno in un negozio virtuale! Inoltre c’è un effettivo risparmio perché il passaggio azienda cliente è praticamente diretto.”
Continuando la nostra indagine abbiamo notato altri cambiamenti in atto che si vedono dall’aumento dell’offerta che molte aziende biologiche stanno mettendo sul mercato a stretto raggio. Le classiche “gite”, che prima erano tipiche di molti commercianti di frutta e verdura, sono state sostituite da consegne a domicilio di aziende agricole anche piccole che consegnano a casa o in ufficio quello che la stagione offre allargando la prospettiva dei GAS (gruppi di acquisto solidale) a cui molti ancora non accedono.
E su questa scia possiamo registrare un forte incremento di corsi di panificazione, di pasta fatta in casa o in cascina, dove si impara a fare dalla marmellata al sapone, in un crescendo di socialità che denota che anche l’uomo più tecnologico ha poi necessità di confrontarsi con il prossimo per tornare a sentirsi un semplice grande essere umano.
Ma la nostra indagine continua.