Firenze – Sveglia all’alba dopo una notte insonne, stamattina 11 ottobre per una donna di circa 60 anni e per il figlio, quasi venticinquenne. Perché la ripartenza degli sfratti comincia a picchiare, non solo in centro o attorno alle mura di Firenze, ma anche nell’hinterland, dove una volta i canoni rimanevano ragionevoli ed ora si allineano alla generale tendenza che fa di Firenze (e dintorni) una delle città più care d’Italia.
Sveglia all’alba, in attesa dell’ufficiale giudiziario e della polizia, dal momento che il procedimento di sfratto era iniziato poco, pochissimo prima del blocco generale dovuto al lockdown. Il blocco aveva congelato la situazione, tanto che per due anni o poco più niente si era mosso. Se non per il propreitario, ovviamente, che, a fronte della morosità del nucleo famigliare, aveva continuato a pagare le spese, vale a dire, 700 euro all’anno di condominio, più la bolletta dell’acqua. Il rapporto fra i due attori principali era comunque andato avanti, con la reciproca rassicurazione che a breve la situazione si sarebbe risolta.
Invece, stamane, primo accesso con le forze di polizia. Poprietario furente ed esasperato, inquilina piegata fra vergogna e necessità di avere una proroga: i tentativi fatti durante i giorni del lockdown e poi in seguito, di adire l’ufficio casa comunale per presentare la propria situazione, si sarebbe infranto, secondo quanto raccontato dalla donna, davanti alla necessità, richiesta dagli uffici, di avere uno sfratto esecutivo prima di poter prendere in considerazione la situazione della donna e del figlio. Dunque, lo sfratto esecutivo c’è, la forza pubblica c’è, i fogli per i procedimenti per chiedere il sostegno pubblico sono fatti in fretta e furia. Ma ormai, a distanza di due anni e poco più, il proprietario non ha più nè pazienza nè voglia di continuare a pagare per un alloggio che non può utilizzare. Date le circostanze, si arriva a circa 9 giorni di proroga. E dopo, cosa succederà? Ad ora, madre (senza lavoro) e figlio (ad ora infortunato, ma senza lavoro anch’egli) non hanno altra scelta che montare una tenda sul marciapiede. Se ce l’hanno, la tenda. In tutto questo, c’è anche una richiesta di tampone covid. Per inciso, quest’ultimo, anche se risultasse positivo, non inficerebbe affatto l’esecuzione dello sfratto, in quanto i due sarebbero, nella peggiore delle ipotesi, semplicemente trasportati in strutture covid.
Una vicenda che rischia di diventare, suo malgrado, una vicenda simbolo. Intanto, per la provenienza sociale del nucleo famigliare, almeno nell’attuale generazione: la madre infatti svolgeva attività presso una rinomata maison come ispettrice di controllo qualità. Un lavoro soddisfacente, che in qualche modo le permetteva senza soverchie preoccupazioni di mantenere l’affitto, sebbene piuttosto salato, nell’hinterland fiorentino. Ma la vita è imprevedibile e disgrazie famigliari, rotture e lutti, portano la donna in depressione. Risultato: l’abbandono dei remi della propria vita. Inevitabile il licenziamento, inevitabile l’abbandono, la resa totale. Dall’altra parte, un proprietario che vuole tornare legittimamente in possesso del proprio bene. Che da quasi due anni e mezzo cerca di riottenere un alloggio su cui contava per incrementare il proprio reddito, e che ad ora non è altro che motivo di spesa. Nessun vincitore nè vinto, brilla un’assenza: quella della politica. E del pubblico. Con un facile vaticinio: il caso di questo nucleo famigliare è solo un anticipo dei circa 130 sfratti al mese previsti dai sindacati e su cui è stato chiesto da tempo alle amministrazioni di prepararsi.

“La preoccupazione principale in questi ultimi mesi è quella che la cosiddetta fascia grigia sta precipitando in fascia nera- dice Laura Grandi, segretaria regionale del Sunia, presente allo sfratto – lavoratori in difficoltà, nuclei con un reddito diventato sempre più basso si trovano sempre in maggior difficoltà a mantenere l’abitazione, sia in affitto che in proprietà. I costi dell’abitare superano di fatto circa il 50% dei redditi famigliari. Spese che assommano non solo l’affitto o il mutuo, ma anche il condominio, le tasse, le bollette. I nostri politici dovrebbero coglierlo, questo bisogno, se non si vogliono trovare con un numero sempre più alto di cittadini davanti all’ufficio casa o dagli assistenti sociali. C’è un problema di mancanza di alloggi a basso costo, mentre il numero di alloggi popolari da riqualificare e reimmettere nel circolo delle case popolari non cala. Se si fosse in un paese normale, con affitti normali, molto probabilmente questa mattina non ci saremmo ritrovati davanti a uno sfratto esecutivo. Il problema reale, è che non si riesce più a trovare un affitto minore ai 600 euro. Il pubblico non può risolvere tutto, se si rientra tutti nella fascia del bisogno, la crisi sociale entrerà nella fase dell’ingestibilità. L’Italia è l’unico paese europeo dove ci si trova da una parte con un’agevolazione fiscale spaventosa (leggi cedolare secca) e dall’altra con un livello d’affitti fuori controllo. Sempre più famiglie normali stanno precipitando nella fossa comune dell’emergenza: spesso non sei da servizio sociale, il contributo in conto affitto non copre il bisogno, ma con il tuo sitpendio non ci sono alloggi ad affitto acccessibile. Si deve usare il termine giusto: esclusione sociale. La casa sta diventando un acceleratore di povertà”. In tutto questo, c’è anche un’altra questione che sarebbe importantissima per non arrivare ai punti di questa mattina: “Aspettiamo a braccia aperte l’attivazione della commissione del disagio abitativo, con il calendario degli sfratti, che permetterebbe all’amministrazione di monitorare i nuclei famigliari in difficoltà, intervenendo in anticipo senza giungere al trauma dello sfratto con forza pubblica. La commissione ha la funzione di non arrivare al giorno dell’esecuzione, ma di trovare per ciascuno una soluzione idonea. E’ quanto mai necessaria alla luce di quanto sta succedendo. Senza il governo delle esecuzioni, si arriva a questi risultati”. Si penalizza inquilino e proprietario. Insomma si fa bingo.

“Una situazione, quella di stamattina, che purtroppo sarà sempre più frequente – ribadisce Marzia Mecocci, della Rete Antisfratto che raccoglie il Movimento di Lotta per la casa, vari Sportelli solidali per la precarietà abitativa, associazioni e gruppi politici – la responsabilità della quale è da addebitarsi al fatto che, nonostante gli appelli, gli allarmi, le richieste, l’amministraizone è stata sorda e cieca, andando avanti senza preoccuparsi dello tsunami annunciato. Ora, dopo i due anni di blocco, le famiglie sono arrivate all’esecuzione con forza pubblica senza che vengano offerte altenrative, nè a loro nè ai proprietari che sono esasperati. Lo stupore è che non siano stati approntati mezzi che fotografano il bisogno e che vanno incontro alle richieste di aiuto sociale, perseverando in una miope politica che continua a parlare di fasce grigie quando ormai sono proprio loro quelle più in crisi, che non riescono più a mantenere quell’equilibrio pur precario che le teneva fuori dall’emergenza abitativa. Con i prezzi delle case e il livello dei salari, aggiungendo la contrazione sul lavoro dovuta al covid, basta una malattia, un incidente, un lutto che porta via una parte di reddito famigliare pur piccola però essenziale, e il baratro si apre. La domanda è: fino a che punto le istituzioni faranno finta di non capire?”.
Presente allo sfratto anche il consigliere comunale di Spc Dmitri Palagi, che rilascia una breve dichiarazione: “Tira un vento ghiaccio a questo sfratto. Una storia dove non ci sono torti e ragioni, ma disperazione, rabbia, paura. Dove la parte pubblica si presenta solo come forza di repressione, senza nessuna soluzione, se mom mediata dai movimenti e dalle organizzazioni degli inquilini. Con la lotta si ottengono fili di speranza, che son quasi peggio del nulla. In tutti questi mesi di pandemia non è stato fatto nulla da chi governa. Solo “sospensione” delle condizioni di bisogno, che son sempre qui, in attesa di una politica in grado di dare risposta”.