Sessant’anni fa, con l’entrata al governo del PSI giunse a compimento l’evoluzione politica conosciuta come “apertura a sinistra” iniziata nel 1960 anche per gli effetti della caduta del governo Tambroni che si reggeva con i voti del MSI. Il centro sinistra fu una svolta epocale in quanto, tra alti e bassi, crisi e ricomposizioni, la formula è durata trent’ anni, per tutto il periodo della cosidetta prima repubblica.
Il primo a promuoverla fu Fanfani che dopo aver guidato il governo delle convergenze parallele (20 luglio 1960-21 febbraio 1962 appoggiato da PSDI PLI PRI con le parallele astensioni di monarchici, sei mesi dopo dette vita a un governo DC- PSDI-PRI con la benevola astensione del PSI.
L’appoggio esterno a un governo di centro sinistra era stato discusso e approvato dal Congresso del Psi già nel 1961. Alcuni mesi dopo il Segretario della DC Aldo Moro aveva ottenuto il via libera dal suo partito. Così, nel febbraio 1962,Fanfani, ricevuto un nuovo incarico dal Presidente Gronchi, formò un governo DC, PRI e PSDI dove l’astensione del PSI si trasformava in appoggio esterno (governo Fanfani IV che ebbe 295 voti a favore, 195 contrari).
Come si vede, si procedeva a piccoli passi, quasi impercettibili, che paiono incomprensibili se si guarda alla politica attuale avvezza a rapidi cambi di alleanze ma che all’epoca erano rilevanti in quanto dovevano vincere una reciproca diffidenza, frutto dei forti contrasti tra DC e Fronte popolare dalle elezioni del 1948 a tutto il decennio successivo. Con il suo noto dinamismo, Fanfani realizzò importanti riforme come la nazionalizzazione dell’energia elettrica e l’elevazione dell’ obbligo scolastico a 14 anni e l’introduzione della scuola media unica.
La strategia di Moro aveva un orizzonte più ampio rispetto alla mossa tattica di staccare il PSI dal PCI e di ridurre il potenziale elettorale del Fonte popolare. Infatti, guardava alla governabilità In questa ottica, la DC sfuggiva al precario equilibrio del quadripartito e ai rischi delle maggioranze risicate ma anche PSDI e PRI ritenevano di accrescere il potere di contrattazione nei confronti del partito egemone.
Ma il Segretario DC guardava ancora oltre, alla necessità di innovazioni e di riforme strutturali per un Paese che aveva vissuto i tempi duri della ricostruzione, quelli tumultuosi del miracolo economico e che adesso doveva avere una maggiore apertura alle problematiche sociali e al miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori.
Buona parte del PSI era restìa a rompere l’alleanza con il PCI e quindi l’unità del movimento operaio. Ma la DC, oltre ai problemi posti da una base e da un elettorato che temevano la svolta a sinistra, doveva farei conti con due fattori esterni al partito ma di grande rilievo. Anzitutto gli Stati Uniti, preoccupati che il PSI spingesse l’Italia su una posizione neutralista, ma soprattutto che aprisse le porte al PCI. E la Chiesa che era sempre stata inflessibile guardiana contro ogni collaborazione con partiti di ispirazione marxista e contro eventuali cedimenti in politica estera.
Il destino dette però una mano a Moro e a Fanfani. Dal 1958 era papa Giovanni XXIII che guardava con favore all’apertura e a sinistra anche se le gerarchie ecclesiastiche italiane continuavano a fare pressioni e inviti alla cautela. Parallelamente, il presidente Kennedy in carica dal 1961, ebbe un approccio più morbido e una linea di non ingerenza purché non fossero messe in discussione la fedeltà atlantica e il rapporto privilegiato tra Italia – Usa.
Le elezioni politiche del 1963 furono però una brutta sorpresa per i partiti di governo. Se il PSI arretrò di un modesto 0,39% la DC perse il 4,07%. Avanzavano gli oppositori: il PCI guadagnava il 2,58% e il PLI il 3,43 % (beneficiando anche dell’arretramento del 3,11% del Partito monarchico)
Si sapeva che la campagna elettorale della DC e del PSI sarebbe stata difficile perché entrambi dovevano convincere i propri elettori di non aver abdicato nei confronti del nuovo alleato che era stato uno storico avversario. C’erano poi le questioni delle riforme e dell’istituzione delle Regioni a dividere i due alleati Ma il risultato fu peggiore delle previsioni per il partito dei cattolici che, per continuare con l’alleanza di centro sinistra, chiese più moderazione per le riforme e netta distinzione tra PSI e PCI.
A questo punto, dopo un governo ponte (monocolore DC) presieduto da Giovanni Leone, a dicembre Aldo Moro (che lasciò la Segreteria del partito) fu designato a presiedere un governo organico di centro sinistra che, per la prima volta, vide l’entrata dei socialisti (con Pietro Nenni Vice Presidente del Consiglio e altri 5 ministri) insieme a PSDI e PRI.
Il nuovo governo si trovò a dover prendere provvedimenti impopolari (aumento delle tasse sulle auto del prezzo della benzina e limitazioni alle vendite rateali in modo da frenare i consumi) ma la sua caduta, dopo sette mesi fu provocata dal contrasto sulle sovvenzioni alle scuole private.
L’incarico fu conferito nuovamente al leader democristiano (governo Moro II) che durò dal 23 luglio 1964al 24 febbraio 1966 quando fu battuto in Parlamento in un voto a scrutinio segreto sull’istituzione di scuole materne statali che, peraltro, faceva parte dell’accordo programmatico.
Nacque il Moro III (23 febbraio 1966 – 5 giugno 1968) che è stato uno dei più duratori nella storia dell’Italia repubblicana. Al terzo governo Moro si deve anche l’istituzione delle Regioni a venti anni dall’entrata in vigore della Costituzione. Il clima di fiducia era segnalato anche dall’ unificazione tra PSI e PSDI.
Le elezioni del 1968 videro la DC in leggera crescita. Ottenne il 39,12 % (+ 0,83) ma un netto insuccesso del Partito socialista unificato che si fermava al 14,48% e rispetto alla somma dei due precedenti partiti perdeva il 5,46, mentre il PCI raggiungeva il 26,90% con una crescita dell1,67 e il PSIUP nato dalla scissione dal PSI otteneva il 4,45%..
Veniva ridimensionata la maggioranza di governo e si rafforzava l’opposizione di sinistra. Per i dorotei, a seguito dell’insuccesso del centro sinistra Moro doveva farsi da parte. Una singolare analisi in quanto proprio i dorotei, con particolare insistenza, avevano frenato sulle riforme la cui mancata attuazione era stata uno dei fattori più rilevanti della sconfitta socialista e del successo del PCI. Comunque il PSU decise di non entrare nel nuovo governo fino al Congresso che si sarebbe tenuto in autunno. Quindi si ripiegò su un monocolore democristiano presieduto ancora una volta da Giovanni Leone.
Moro si mise in disparte e osservò un lungo periodo di silenzio. Nacque il governo Rumor. che, sette mesi dopo, a causa della fine dell’unificazione socialista , si dimise per dare vita a un Rumor II, un monocolore che preparava l’avvento di un Rumor III con una nuova coalizione e di centro sinistra.
Intanto, Moro si staccò dai dorotei e formò un gruppo autonomo che si spostò a sinistra e si mise all’opposizione interna. Lo statista pugliese non era mosso da ragioni tattiche né tanto meno da delusione di essere stato estromesso dalla guida del governo in quanto si sentiva oppresso dal gravoso incarico.
Invece, a seguito dei moti del ’68 e della contestazione giovanile – di cui dette una chiave di lettura complessa individuandone aspetti effimeri ma anche altri significativi – stava maturando una nuova prospettiva politica. Il riformismo dei programmi di governo gli pareva ormai angusto rispetto alle richieste di partecipazione e ai fermenti nuovi che stavano crescendo nella società e in modo peculiare nel mondo cattolico.
Novità che individuò anche in campo comunista quando fu eletto Vice Segretario Enrico Berlinguer. Perciò, fin dal 1968 Moro parlò di strategia dell’attenzione nei confronti del PCI. Negli anni successivi, per il crescere del terrorismo e dopo che Berlinguer aveva lanciato la proposta del compromesso storico, Moro elaborò una strategia di solidarietà nazionale che desse al Paese un governo di ampio consenso. Ciò comportava un coinvolgimento del PCI (che era il tabù della Dc fin dalle prime ipotesi di apertura a sinistra) e lo statista democristiano la portò avanti con determinazione, seppure con cautela, per evitare ancora una volta, che fosse vanificata da una scissione nella DC. Una strategia che avrebbe dato i suoi frutti ma che fu interrotta dal rapimento e dalla barbara uccisione di Moro da parte delle BR.
Nell’ambito della vasta bibliografia si rinvia, in particolare a: Guido Formigoni, Aldo Moro Editrice Il Mulino 1976 e Aniello Coppola, Moro ,Feltrinelli 1976.
In foto: Aldo Moro con Giorgio La Pira