Sentenza: affidamento esclusivo dei figli alla madre vittima di violenza domestica

I diritti dei minori sono prevalsi rispetto a quello del genitore

Una sentenza che sicuramente farà “giurisprudenza ” e che avrà importanti conseguenze nell’ambito delle separazioni “familiari complicate” in cui sono coinvolti i minori, quella emessa dal Tribunale di Prato che pochi giorni fa, sulla base di una serie di procedimenti,carte processuali, allegati e consulenze, ha sentenziato l’affidamento esclusivo dei figli minori di una coppia di fatto, perché la donna palesemente vittima di violenza domestica.

È rimasta così  fuori dall’aula giudiziaria pratese la cosiddetta sindrome di alienazione parentale,( PAS) della quale si è discusso molto negli ultimi anni, e che ha avuto una certa notorietà nel nostro Paese perché è stata richiamata, direttamente o indirettamente, in occasione di diversi procedimenti riguardanti l’affidamento dei figli. Una battaglia legale portata avanti dall’avvocata Edy Anna Pacini, dell’associazione Senza Veli sulla Lingua, a tutela di Maria P.  vittima di una violenza sottaciuta negli anni nel timore di vedersi strappare via i propri figli, e che venissero affidati ai servizi sociali, come conseguenza della scelta sofferta di raccontare l’inferno subito in famiglia da parte dell’ex marito. Perché i bambini che erano stati testimoni della violenza cominciavano ad aver paura di incontrare il loro papà e di passare del tempo con lui.

Da quel momento in poi la spirale infinita di querele e perizie dei CTU, dei consulenti tecnici d’ufficio, a cui era stato affidato il compito di valutare il motivo di tale rifiuto e le competenze genitoriali in situazioni di violenza domestica.  Una totale chiusura al dialogo nonostante una serie di incontri programmati dai servizi sociali tra i bambini e il loro genitore al punto che è stato riportato per iscritto in sentenza che “entrambi i minori hanno portato alla luce il loro vissuto di sofferenza verso il padre che deve essere affrontato in un setting e con strumenti specifici” . Per poi concludere, “a fronte di quanto osservato, non vi sono i presupposti per proseguire in questo percorso di riavvicinamento e ricostruzione relazionale senza un propedeutico lavoro psicologico individuale su tutti i membri del nucleo”.

Una presa d’atto di un quadro relazionale difficile dal quale è emersa la decisione finale del giudice in base alla quale il tipo di affidamento più consono alla tutela dei ragazzi era quello esclusivo alla madre, come un’unica e sola forma di affidamento realmente percorribile, lasciando però ai servizi sociali la possibilità di valutare in seguito altre opportunità oltre che una porta aperta al genitore non affidatario attraverso un principio (art.337 quater c.c.. ) in virtù del quale nell’affidamento esclusivo, anche l’altro genitore mantiene il diritto –dovere di vigilare sulla istruzione ed educazione della prole. Nel caso potendo lui ricorrere al giudice qualora ritenga che le decisioni assunte siano pregiudizievoli all’ interesse dei minori, auspicando ancora il coinvolgimento graduale del padre nelle scelte fondamentali.

Scelte che ad oggi sono state  rimesse alla madre attribuendole la facoltà di adottare in autonomia le decisioni di maggior interesse limitatamente alla residenza abituale. Una sentenza dunque ampiamente motivata nella quale è emerso chiaramente che i diritti dei minori siano prevalsi in questo caso rispetto a quello del genitore. E così si è salvaguardato un principio cardine del nostro ordinamento che è infatti il superiore interesse del minore, così come sancito a livello mondiale dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia (art. 3d dall’art. 337-ter del codice civile italiano),principio che impone che nelle decisioni che lo riguardano, di fronte a un contrasto di interessi, genitore-figlio, prevalga sempre quello del minore.

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