Semiconduttori, l’Europa non colma il gap sui chip ad alte prestazioni

L’ European Chip Act punta su infrastrutture e ricerca, ma la sfida è enorme

di Armando Sternieri

È notizia recente che l’azienda americana Vishay, produttrice di componenti elettronici, dopo aver acquisito la Newport Wafer Fab nel sud del Galles, abbia intenzione di iniziare a produrvi semiconduttori composti. Ma cosa sono questi semiconduttori e, soprattutto, sono davvero una via praticabile per la UE per ridurre il gap con il resto del mondo?

I semiconduttori composti sono materiali formati da due o più elementi chimici, come il gallio arsenide (GaAs), il nitruro di gallio (GaN) e il carburo di silicio (SiC). Questi materiali offrono proprietà uniche rispetto ai semiconduttori tradizionali come il silicio, inclusa una maggiore mobilità degli elettroni, un ampio band gap e una notevole efficienza ottica, rendendoli ideali per applicazioni avanzate. Sono ampiamente utilizzati in campi come l’optoelettronica, l’elettronica di potenza e le comunicazioni ad alta frequenza. Tuttavia, non sono altrettanto efficaci nella produzione di chip ad alte prestazioni, come quelli utilizzati nell’intelligenza artificiale.

Il silicio, infatti, rimane il materiale preferito per la produzione di circuiti integrati altamente miniaturizzati. Grazie alla maturità della tecnologia CMOS (Complementary Metal-Oxide Semiconductor), è possibile raggiungere livelli di miniaturizzazione estremamente avanzati. I processi produttivi più avanzati oggi utilizzano tecnologie a 3 nm, con sviluppi in corso per scendere a 2 nm e oltre. Questa miniaturizzazione estrema consente di integrare miliardi di transistor in un singolo chip, rendendo il silicio ideale per applicazioni come microprocessori, memorie e dispositivi logici. Al contrario, i semiconduttori composti, come il gallio arsenide e il nitruro di gallio, non raggiungono lo stesso livello di miniaturizzazione del silicio. La crescita cristallina complessa e la produzione di wafer di alta qualità e dimensione uniforme limitano la scalabilità dei processi produttivi per questi materiali.

I semiconduttori composti operano tipicamente con dimensioni dei transistor più grandi, intorno ai 90 nm o superiori, adatti a specifiche applicazioni ad alta potenza e frequenza ma non competitivi per le esigenze dell’intelligenza artificiale.

In Europa, la produzione di semiconduttori e chip si divide tra aziende che forniscono materiali di base e altre che producono circuiti integrati completi. Soitec in Francia e Siltronic in Germania si concentrano sulla produzione di wafer avanzati, mentre aziende come STMicroelectronics, Infineon Technologies e NXP Semiconductors combinano progettazione e produzione di chip per l’elettronica di potenza, l’automotive e l’IoT. GlobalFoundries, con un impianto a Dresda, è una delle poche foundry pure in Europa, mentre Tower Semiconductor, presente in Italia, si specializza in dispositivi analogici e sensori. Infine, Nordic Semiconductor progetta chip ma si affida a foundry esterne per la produzione. Questo ecosistema consente all’Europa di essere competitiva in settori di nicchia, ma non di colmare il divario nei nodi tecnologici avanzati.

I chip prodotti in Europa eccellono in settori come l’elettronica di potenza e l’automotive, dove sono spesso tra i migliori al mondo per efficienza energetica, affidabilità e resistenza. Tuttavia, per applicazioni che richiedono nodi avanzati, come processori e memorie ad alta densità, i leader globali come TSMC, Samsung e Intel mantengono un significativo vantaggio tecnologico, dominando nei nodi a 5 nm e 3 nm, mentre l’Europa sviluppa tecnologie che arrivano attorno ai 15 nm. Lo European Chip Act mira a colmare questo divario attraverso investimenti in infrastrutture e ricerca, ma produrre semiconduttori con tecnologie avanzate a 5 nm rimane una sfida enorme.

La miniaturizzazione a questi livelli richiede controllo atomico dei materiali, macchinari complessi come quelli forniti da ASML per la litografia a ultravioletti estremi (EUV) e fabbriche dal costo che può superare i 10 miliardi di euro.

Investire nei compound semiconductor non aiuta direttamente a raggiungere questi livelli di miniaturizzazione. Le tecnologie basate su materiali come GaAs e GaN rispondono a logiche diverse e sono destinate a settori specifici, come radar, amplificatori RF ed elettronica di potenza. Inoltre, i compound semiconductor richiedono materie prime rare e strategiche, spesso limitate a specifiche aree geografiche e dominate da pochi produttori globali, in particolare la Cina. Elementi come il gallio, l’arsenico e l’indio sono sottoprodotti di altre attività estrattive e soggetti a fluttuazioni di mercato, creando vulnerabilità significative per la catena di approvvigionamento. Anche il carburo di silicio, pur basato sul silicio, richiede processi avanzati e materiali complementari, come grafite di alta qualità, soggetti a restrizioni. A queste difficoltà si aggiunge l’impatto ambientale considerevole legato all’estrazione e alla lavorazione di questi materiali, con normative sempre più stringenti a limitarne l’espansione.

In sintesi, pur rappresentando una tecnologia promettente per applicazioni di nicchia, come l’elettronica di potenza e l’optoelettronica, i compound semiconductor non possono essere centrali nel colmare il gap della UE sui chip ad alte prestazioni. Le loro caratteristiche tecniche e i limiti legati alla miniaturizzazione avanzata li rendono inadatti a competere con i semiconduttori al silicio nei nodi tecnologici più avanzati, dove risiedono le applicazioni più critiche e dominanti sul mercato globale.

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