Più degli 80 euro un po’ farlocchi, a noi di Renzi è piaciuto di più il sacrosanto attacco sferrato a Mammona Rai sotto forma di irrinunciabili tagli degli incalcolabili sprechi del baraccone pubblico Tv. La ribellione degli strati probabilmente più parassitari di Mammona Rai alla spending review (dalla stessa sempre sbandierata con eccitazione fino a quando non si è abbattuta al suo interno) ha raggiunto tali livelli di oscenità che il fronte dei privilegi è andato letteralmente a ramengo. Conscio nelle sue menti diciamo così pensanti dello strato di impopolarità che la vicenda rischia di raggiungere (letteralmente punto di non ritorno). Lo stesso Massimo Giletti (e diciamo molto) ha palesato perplessità…
Ad aprire le danze delle facce di tolla ci aveva pensato Giovanni Floris (il Bruno Vespa del Pd) che davanti al Rottamatore proclamante la necessità della scure sulla Tv aveva per la prima volta incalzato piccante un esponente del centrosinistra. Da lì tutto uno stracciarsi le vesti (coi sindacati in testa) sul rischio che il servizio pubblico (mancante della stessa sonante gettata di eurini tolti dalle tasche della gente) abdicasse totalmente in favore del privato. Come se la Rai non avesse abdicato da decenni a svolgere servizi di una qualche utilità e non avesse scelto il mercato solo nelle sue derive più discutibili, ovvero sgallettamenti in prima serata e quizzoni per dementi. Anche l’un tempo innovativa Rai Tre è oggi preda dei complimenti oggetti della Dea Kali della lingua, al secolo Fabio Fazio.
Si dovrebbe chiedere agli utenti quanti sacrificherebbero i canali Rai pur di non pagare più l’odioso balzello del canone: sarebbe un plebiscito di rinunce. Quindi tagliare come giardinieri, che non sono i soldi ad instillare le vocazioni di servizio, entrare nel mercato pariteticamente agli altri e fuori la politica dalla Rai, che è la prima responsabile della caduta libera di qualità dei programmi e degli uomini che ne frequentano gli studi. Ovvero, l’impossibile.